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Tre iniziative nello spazio pubblico europeo per contrastare il decreto legge governativo “povertà ”.

di Giuseppe Bronzini

Ha recentemente scritto Cristiano Gori, ascoltato studioso delle misure contro la povertà, ispiratore del REI, che pur sembra  condividere dell’istituto europeo del reddito minimo garantito una versione piuttosto restrittiva e poco generosa (diversa dalla nostra), che “ la riforma del reddito di cittadinanza abolisce il diritto di ogni cittadino- quale che siano la sua età, la condizione lavorativa o altro- a una vita minimamente decente. Questo diritto viene assicurato da tutti i paesi europei e l’Italia diventa l’unico a non prevederlo più. Difficile sottovalutare la portata storica di una simile scelta”. Sono affermazioni  che condividiamo in pieno: l’Italia non solo è stato l’ultimo paese a dotarsi, seguendo le indicazioni dell’Unione europea ( e della sua Carta dei diritti all’art. 34.3.), di un sistema nazionale  di contrasto al rischio di esclusione sociale onde garantire a tutti un’esistenza libera e dignitosa. Ma è anche lo stato membro che per primo è uscito dalla legalità sovranazionale contravvenendo in modo plateale non solo allo spirito ed alla lettera del suo Bill of rights (ribaditi all’art. 14 dell’European social Pillar) ma persino ad una recente Raccomandazione del Consiglio del 30.1.2023 a favore della quale l’attuale Governo ha votato.

Questo “passaggio storico” per citare ancora Gori, di regressione morale, culturale e sociale del nostro paese (in presenza di persistenti dati allarmanti sul dilagante fenomeno del rischio di esclusione sociale che arriverebbe a coinvolgere circa il 19% per cento della popolazione residente) chiama ad una mobilitazione anche in chiave sovranazionale, alla necessità di opporci come cittadini europei attivando tutti quei mezzi che l’Unione (o il Consiglio d’Europa parlando della cosidetta “ grande Europa”) ci mette a disposizione per ottenere che  gli impegni sottoscritti dal nostro paese siano mantenuti.

Senza dover rientrare nel merito dell’indegnità delle soluzioni adottate, che ogni volta genera la nostra rabbia  e la nostra indignazione e rinviando alla piattaforma della rete “civuoleunreddito” che ha raccolto l’adesione di decine di organizzazioni ed avviato un processo di dialogo con tutte le forze di opposizione, vorremmo fare tre proposte concrete di iniziativa “europea”.

1)Innanzitutto si propone una denuncia alla Commissione europea per violazione del diritto dell’Unione in relazione all’odioso duplice  trattamento discriminatorio riservato ai migranti extracomunitari attribuendo il decreto governativo  l’accesso alle prestazioni di sostegno al reddito ai soli titolari di un permesso di lungo soggiorno ma non a quelli di un regolare permesso di lavoro cui si aggiunge l’ ulteriore elemento di discriminazione indiretta (che colpisce anche gli stessi cittadini dell’Unione) nel richiedere una residenza abnorme di cinque anni nel nostro paese (di cui due continuativi) che non appare in linea con la giurisprudenza della Corte di giustizia che ritiene ammissibili solo termini molto più brevi . Tali forme di discriminazione sono peraltro in contraddizione con il recente regime degli assegni familiari al quale sono stati ammessi sia i titolari di permesso di soggiorno per lavoro con un  requisito di residenza più in linea con quanto ritenuto ammissibile dalla Corte dell’Unione. Questa scelta discriminatoria appare incredibile perché la Commissione europea ha già  messo in mora l’Italia, in sostanza compiendo il prima atto necessario, proprio per il trattamento riservato ai migranti (comunitari ed extracomunitari) dalle precedenti forme di contrasto della povertà (Rei e RDC); si tratta quindi una aperta ribellione contro le indicazioni sovranazionali, persino dopo che la Commissione sul punto si è chiaramente espressa. Va sottolineato come in seguito a denunce ripetute da parte della CGIL e di altre associazioni recentemente la Commissione europea abbia iniziato un’altra procedura di infrazione nei confronti dell’Italia  per l’abuso dei contratti a termine in vari settori (ad esempio negli enti lirici o nelle ASL).  L’appello all’intervento del’organo deputato all’applicazione uniforme del diritto dell’Unione, e cioè la Commissione europea, è uno mezzo fisiologico nell’ordinamento europeo, come rammentato nella recente Comunicazione di questa che si è offerta di allargare i canali di comunicazione con la società civile  sul rispetto dello “stato di diritto” in EU, che si accompagna all’attività di controllo e di denuncia con le Risoluzioni del PE e con i rinvii pregiudiziali alla Corte di giustizia.

2) Il Consiglio ha approvato recentemente, il 30 gennaio, una Raccomandazione “relativa ad un adeguato reddito di minimo che garantisca l’inclusione attiva” con il voto unanime degli stati membri compreso quindi l’Italia. Si tratta di una Raccomandazione importante perché rientrante nel Piano di attuazione dell’Europian  social Pillar presentato nel Marzo del 2021 che contempla varie iniziative per dare attuazione ai 20 principi e diritti che compongono il Pillar.

Ora, senza entrare troppo in dettaglio ma solo per spiegare l’iniziativa proposta, alcune disposizioni del decreto che riguardo le due nuove prestazioni per il contrasto della povertà e cioè l’assegno di inclusione e lo strumento di attivazione non appaiono coerenti con questa Raccomandazione; ad esempio al punto n. 3 si “raccomanda gli stati membri di fornire e, ove necessario, rafforzare solide reti di sicurezza sociale che garantiscano una vita dignitosa in tutte le fasi della vita, combinando un adeguato sostegno al reddito, mediante prestazioni di reddito minimo ed altre forme di accompagnamento monetarie e in natura e fornendo un accesso effettivo ai servizi abilitanti ed essenziali..” . al punto n. 5 si aggiunge “ pur salvaguardando gli incentivi alla reintegrazione e alla permanenza nel mercato del lavoro per chi può lavorare, si raccomanda che il sostegno al reddito elle persone che non dispongono di risorse sufficienti raggiunga un livello almeno equivalente a uno degli elementi seguenti: a) soglia nazionale  del rischio di povertà, oppure b) valore monetario dei beni e servizi necessari tra cui un’alimentazione adeguata, l’alloggio, l’assistenza  sanitaria e i servizi essenziali secondo le disposizioni nazionali, 3) altri livelli comparabili secondo i criteri di cui sopra”, da raggiungere comunque entro il 2030. Il punto n. 3 recita “ al fine di promuovere la parità di genere , la sicurezza nel reddito e l’indipendenza delle donne, giovani, e delle persone con disabilità si raccomanda agli stati membri la possibilità di richiedere che il reddito minimo sia fornito ai singoli componenti della famiglia”; il punto 11 parla di sostenere i percorsi verso  “un lavoro di qualità  .. e di far fronte alla povertà lavorativa, ed alla segmentazione del mercato del lavoro” . La Risoluzione del Parlamento europeo del 15.3.2023  ha poi chiesto alla Commissione di proporre una direttiva sul reddito minimo (come ha già fatto il Comitato economico- sociale) proprio per evitare che gli stati possano scendere oltre le soglie minime di tutela e favorire una convergenza  sociale verso l’alto tra i paesi membri. Il punto n. 18 della Risoluzione “ invita gli stati membri ad adottare misure per evitare che i beneficiari siano costretti ad accettare posti di lavoro di scarsa qualità “; il l punto n. 10 “ ritiene che il sostegno al reddito dovrebbe essere concesso dopo l’accertamento delle fonti di reddito individuali per garantire l’indipendenza finanziaria di ogni persona priva di mezzi sufficienti”.

Vale solo la pena di ricordare che, come argomenta anche Gori, il “sostegno base” è riservato solo a famiglie che abbiano nel loro nucleo un minore o  un anziano o un disabile; le altre famiglie che pur possono vantare i severissimi requisiti di accesso all’assegno di accompagnamento etc.  ( ISEE non superiore ai 9.360 euro,reddito annuale non superiore ai 6000 euro etc.) rimangano  fuori dalle protezioni, anche se il loro reddito complessivo è al di sotto della soglia di povertà assoluta. Solo per chi può lavorare opera l’altra misura che incredibilmente  è a tempo(12 mesi), è più bassa (solo 350 euro per ogni richiedente, ma non integrabile per i figli o altri parenti o per l’affitto) e comunque presuppone un ISEE molto più basso, pari a 6000 euro. Per tutti coloro che sono coperti dalla due misure e possono lavorare l’offerta di lavoro può essere anche di un solo mese, anche part- time purchè almeno del 60% dell’orario pieno, anche interinale, pena la decadenza anche al primo rifiuto. Facendo una facile simulazione il soggetto potrebbe decadere se rifiuta un lavoretto offerto da un’agenzia interinale di un mese part- time (ad ottanta KM da casa) godendo di una retribuzione (contrattuale) in certi settori, come la logistica, pari al 60% di euro 3,94 orari lordi orari.

Sono misure che certamente implicano un doppio squilibrio macro-economico nel nostro paese : innanzitutto genereranno incrementi importanti dei tassi di povertà assoluta e relativa mentre uno degli obiettivi strategici dell’Unione è quello della riduzione di 15 milioni di poveri: il secondo è il correlato e prevedibile aumento del numero di contratti atipici, saltuari e precari (che verranno offerti ai titolari delle due misure) , anch’esso bersaglio di tutte le Raccomandazioni socio- economiche degli organi sovranazionali. Non sembra neppure compatibile con la giurisprudenza della Corte di giustizia la previsione di lavori socialmente utili per coloro che godono di misure di sostegno che questa giurisprudenza considera delle forme (presunte, sino a prova contraria) di prestazione lavorativa sottopagata per lavori routinari.

Nella sua originaria proposta di Raccomandazione la Commissione aveva ricordato che

The European Semester process of economic and employment policy coordination has highlighted structural challenges related to minimum income schemes and related elements such as social inclusion and labour market activation, with a number of Member States receiving related country specific recommendations. The revised social scoreboard20 tracks performance and trends in the Member States, enabling the Commission to monitor progress in addressing the country-specific recommendations. The 2022 guidelines for the employment policies of the Member States state that social protection systems should ensure adequate minimum income benefits for everyone lacking sufficient resources and promote social inclusion by encouraging people to actively participate in the labour market and society, including through targeted provision of social services. For strengthening analytical work, a benchmarking framework was agreed in the Social Protection Committee and its results have been reflected in the Joint Employment Report, country reports and country-specific recommendations”.

La Commissione ha in sostanza avvertito gli stati che gode già di efficaci poteri di sorveglianza macro-economica nell’ambito del semestre europeo come si è visto anche negli ultimi anni nei quali le Raccomandazioni specifiche all’Italia stigmatizzavano sino al 2019 l’insufficienza delle nostre politiche di contrasto alla povertà e l’eccessivo e preoccupante  numero di persone a rischio di esclusone sociale. Nella Raccomandazione del 2021 la Commissione lodava l’estensione del RDC attraverso il reddito di emergenza ma si preoccupava per il fatto che fosse a tempo, chiedendo in sostanza che si migliorassero le politiche già introdotte. Sappiamo tutti che cosa significa resistere alla Commissione nel semestre europeo: studiosi ed esperti hanno già osservato che una grave inadempienza in questo settore, che l’Unione considera strategico perché cartina di tornasole della sostenibilità sociale del modello economico europeo, potrebbe anche comportare l’esclusione dai fondi sociali.

Scusandoci per questa lunga premessa la nostra seconda proposta è quella che gruppi parlamentari, sindacati, ONG, associazioni della società civile, gruppi di cittadini  segnalino (con una sorta di esposto)  alla Commissione quelle che sono gravi devianze dal percorso -che l’Italia ha sottoscritto- della progressiva  riduzione della povertà nei territori dell’Unione e di farlo senza discriminare nessuno, tanto più chi è rimasto indietro, in vista della legge di bilancio e del semestre europeo. Una campagna di interpellanze nel parlamento italiano e in quello europeo potrebbe accompagnare la presentazione di questo “esposto” così come  la proposizione di specifiche Petizioni popolari (che il Pe esamina sempre con cura e tempestivamente).

Sarebbe anche un modo per contribuire alla definizione di una direttiva sul reddito minimo garantito (che per adesso la Commissione ha accantonato), in modo che scandali come quello italiano non si ripetano.

 

3) L’ultima proposta riguarda non l’Unione ma il Consiglio d’Europa. Quest’ultima organizzazione di 47 stati si è dotata di un Carta sociale europea aggiornata nel 1996 che sta progressivamente acquisendo importanza nel sistema multilevello giudiziario europeo. I diritti di cui all’art.  30 e 31 secondo cui, rispettivamente, “ogni persona ha diritto alla protezione sociale “ e “ tutte le persone hanno diritto all’abitazione “  offrono una protezione simile a quella dell’art. 34 della Carta di Nizza, ma anche altre norme complessivamente implicano l’esistenza di sistemi di reddito minimo garantito. Ora i canali offerti dal sistema della Carta per verificare l’applicazione di queste norme, sui cui vigila un Comitato dei diritti sociali  sono in sostanza due. Il primo, poco efficace, è quello dei report periodici  sugli stati redatti dal Comitato sul grado di ottemperanza alle prescrizioni della Carta (l’Italia è stata sempre stigmatizzata per la mancanza di politiche di contrasto alla povertà). Il secondo, che nel tempo ha acquisito d’importanza, è quello invece dei reclami collettivi, la possibilità cioè per i sindacati più rappresentativi (ma anche talune ONG) nei paesi aderenti di far costatare una violazione di uno dei diritti della Carta da parte di quel paese. In questo modo si attiva una procedura quasi giudiziaria ed il Comitato emana delle decisioni che, ove accertano delle violazioni, comportano un dovere per gli stati di provvedere entro 4 mesi. Alla fine -anche in questo caso- non vi sono vere conseguenze per lo stato inadempiente ma il procedimento “quasi giurisdizionale “ consente che queste decisioni, in alcuni ordinamenti (come l’Italia) che considerano il rispetto della  Carta sociale europea come parametro  indiretto di  costituzionalità di poter far valere questa decisioni di “accertamento “ di una violazione per comprovare che la Costituzione interna è stata violata perché il diritto internazionale (nel cui ambito rientra la Carta sociale ) non è stato tenuto in debito conto. Questa è stata la strada seguita con successo dalla CGIL nel contestare il Jobs act facendo valere l’art. 24 della Carta sulla protezione contro i licenziamenti ingiustificati ottenendo  una decisione del Comitato che avvalora quanto sostenuto dal sindacato. La Corte costituzionale italiana inoltre, nella sentenza n.194 del 2018, ha ritenuto che il sistema di risarcimento per il licenziamento ingiustificato del Jobs act (che non consentiva al giudice di  determinare liberamente  il danno al lavoratore) violasse l’art. 24 della Carta ed ha richiamato sul punto le decisioni del Comitato.

Ora fatte queste premesse chiediamo ai sindacati italiani che hanno la rappresentatività per proporre ricorsi collettivi di adire il Comitato lamentando la violazione da parte dell’Italia della Carta sociale ( i report in questo settore sono in genere molto severi ed esigenti) mettendo così in mora il Governo Italiano e precostituendo un motivo importante, in caso di accoglimento, per chiedere l’illegittimità costituzionale del decreto “povertà”. Chiediamo che lo facciano per le migliaia e migliaia di persone che perderanno tutela nei prossimi mesi o che verranno costretti ad accettare offerte di lavoro indecenti sia per durata che per trattamento. Il RMG è l’equivalente per chi si trova in difficoltà dell’art. 18 per i lavoratori: la premessa di una vita dignitosa. La CGIL ha saputo trovare questa strada per tutelare il secondo, siano certi che le associazioni dei lavoratori vorranno percorrere questa strada per cercare  ripristinare una forma credibile del primo.

 

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