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Thomas Paine, “The agrarian justice” e il basic income

di Luigi Narni Mancinelli

La figura di Thomas Paine (1737-1809) si colloca storicamente a cavallo tra le due rivoluzioni fondanti dell’epoca moderna, quella americana e quella francese, eventi storici a cui il pensatore di orgine inglese ebbe modo di prendere parte svolgendo in entrambi i casi un ruolo significativo.

Nato da una famiglia di artigiani di orientamento religioso quacchero, Paine partì nel 1774 per l’America per prendere parte alla lotta per l’indipendenza dei coloni contro la madrepatria al fianco di rivoluzionari del calibro di George Washington e Benjamin Franklin. In questo periodo egli si fa conoscere nell’ambiente radicale sostenendo i circoli costituzionali di ispirazione repubblicana. Nel 1776 pubblica in forma anonima il libello “The Common Sense”, che diviene rapidamente un bestseller vendendo oltre 120.000 copie in sei mesi, dove attacca frontalmente la monarchia (definita “papismo politico”) e la dominazione britannica delle colonie americane, cui affida il compito storico di affrancarsi dall’oppressione del regime aristocratico portando avanti un’idea di società rinnovata che contrasti la tirannide. Nel pamphlet la critica alla monarchia si unisce alla distinzione tra società e governo : “La società è fatta per i nostri bisogni, il governo per i nostri vizi; la prima procura la nostra felicità in modo positivo, il secondo in modo negativo col porre un freno ai nostri vizi. L’una incoraggia l’unione, l’altro crea distinzioni. L’una protegge, l’altro punisce”. Se la miglior forma di governo rappresenta dunque un “male necessario”, quella peggiore diviene un “male intollerabile” contro cui gli uomini sono chiamati a battersi.

Il Common Sense riveste un’importanza fondamentale nella creazione di un potere costituente che assumeva non solo lo scontro con la Madrepatria d’oltreoceano, ma anche la costruzione di un processo sociale innovativo, fondato sull’idea di una nuova frontiera di libertà così come della nascita di una democrazia inedita : “Il liberalismo si presentava come rivoluzione radicale. Ed anche la lettura della costituzione di Pennsylvania, da Paine ispirata e che oggi può apparirci solo come una costituzione che sollecita un’ampia partecipazione popolare, non può farci dimenticare la natura rivoluzionaria della sua genesi e del suo spirito -genesi direttamente connessa alla lotta di classe contro l’oligarchia locale e spirito radicale nella dichiarazione dei diritti e nella definizione dei criteri di rappresentanza (rotazione, durata annuale dei mandati, controllo popolare continuo, principio del controllo costituzionale)”[1](A.Negri, Il potere costituente. Saggio sulle alternative del moderno, manifestolibri, pp 187-188).

Nel 1787 Paine è costretto a rifugiarsi in Francia, dove riuscirà egualmente a collocarsi nel pieno del fermento rivoluzionario ed a proporsi come intellettuale di riferimento dei circoli costituzionali e repubblicani moderati. Nel 1791 pubblica la seconda opera più significativa della sua produzione ovvero “The Rights of Man” in cui critica frontalmente la teoria aristorcratica su cui si fonda il privilegio ereditario, che : “è assurdo come può essere assurdo un matematico ereditario, o uno stregone ereditario e ridicolo come un poeta laureato ereditario”. Concepito come una risposta diretta agli attacchi mossi da Edmund Burke alla rivoluzione francese, il testo mette al centro della riflessione il concetto di eguaglianza e del diritto dei singoli individui ad essere tutelati dai principi costituzionali ispirati dal Federalist di Madisone ed Hamilton. Il popolo sovrano viene rappresentato democraticamente e vigila sul mantenimento delle libertà promosse dalla Costituzione repubblicana. La società immaginata da Paine è quella composta da piccoli commercianti, artigiani e operatori agrari e la difesa dei loro diritti naturali e della loro rappresentanza è anche la difesa dei loro commerci nazionali e internazionali, base di una libertà fondata sul principio dell’attività economica e dell’estrinsecazione di talenti e abilità individuali. Pur tenendosi lontano dalle correnti egualitarie più radicali, Paine comincia nondimeno a tratteggiare alcuni elementi sociali piuttosto significativi e anticipatori per l’epoca su cui basare un modello costituzionale e repubblicano efficiente quali l’istruzione pubblica e il sostegno economico alle fasce deboli della società anche attraverso la creazione di un sistema di previdenza sociale costituito da pensioni di anzianità e di maternità.

Nel 1972 viene eletto nella Convenzione nazionale francese dove, alleato della corrente dei Girondini, si inimica quella dei Montagnardi e dei più radicali sostenitori di Robespierre. Tale contrasto lo porta all’arresto ed al carcere nel dicembre del 1793 fino al rilascio ottenuto nell’anno successivo grazie alla fine di Robespierre. Nel periodo di prigionia Paine scrive “The Age of the Reason” diventando noto per la sua difesa del deismo e del libero pensiero contro le religioni istituzionalizzate in generale e con una forte polemica con la dottrina cristiana in particolare. Durante l’inverno tra il 1795 e il 1796 scrive il pamphlet “The agrarian justice”, pubblicato in Francia l’anno successivo con il titolo completo ” Agrarian Justice. Opposed to Agrarian Law and to Agrarian Monopoly Being a Plan for Meliorating the Conditions of Man”. Il libello di Paine si occupa di un problema particolarmente sentito in quel contesto storico. Siamo negli anni del Termidoro rivoluzionario francese e la questione della riforma agraria è uno dei temi politici più controversi su cui si scontrano le diverse fazioni e scuole di pensiero contrapposte. Se la riforma agraria proposta dal binomio Sanit Just-Robespierre conoscerà una vita breve quanto il loro esperimento di governo, l’esigenza di una radicale redistribuzione delle terre come strumento egualitario rimarrà presente nella vita politica francese attraverso il pensiero e la pratica di Babeuf e della sua Congiura degli eguali. Babeuf, con lo pseudonimo di battaglia di “Gracco”, si ispirava esplicitamente alla riforma agraria dell’antica repubblica romana.

Lo scritto di Paine, indirizzato al Direttorio al governo, si colloca proprio nel periodo di maggiore influenza delle teorie di Babeuf, tanto che nella seconda edizione francese della “Giustizia agraria” egli vi fa un riferimento critico esplicito per inquadrare la sua visione alternativa fondata non sull’esproprio e la distribuzione delle terre quanto sull’utilizzo di una equa tassazione per recuperare una redistribuzione sociale adeguata all’accrescimento collettivo di tutta la società. Sulle terre non coltivate Paine immagina la creazione di un fondo ottenuto tramite l’affitto delle stesse ed una tassazione del 10% sulle successioni da redistribuire a tutta la società attraverso l’erogazione di una somma mensile destinata a tutti i maggiorenni : “To create a Natural Fund, out of which there shall be paid to every person, when arrived at the age of twenty-one years, the sum of Fifteen Pounds sterling, as a compensation in part for the loss of his natural inheritance by the introduction of the system of landed property. AND ALSO, The sum of Ten Pounds per annum, during life, to every person now living of the age of fifty years, and to all others as they arrive at that age”. Questo sussidio è rivolto ad ogni persona, “ricca o povera che sia” perchè oltre e al di là della proprietà che egli possa aver creato o ereditato è un diritto naturale universale che gli uomini hanno conquistato passando dallo stato di natura a quello sociale. Qui Paine è evidentemente influenzato dal Rousseau che ritiene irreversibile il passaggio verso la civilizzazione e cerca di venire a patti con essa mitigandone gli effetti perversi.

Se il libello di Paine non suscitò grande dibattito all’epoca della sua pubblicazione, probabilmente anche per il carattere estremamente anticipatorio e profetico di alcune sue proposte, nondimeno esso è stato ripreso successivamente in diversi contesti storici e culturali. In particolare la proposta di redistribuire attraverso la rendita agraria una specifica forma di sussidio compensativo a tutti i non-proprietari terrieri ha portato diversi studiosi ad identificare in Paine una delle prime intuizioni storicamente tendenti verso un reddito universale garantito. Si può facilmente tracciare una genealogia delle radici storiche e filosofiche di questa proposta di “basic income” proprio partendo dalla “Giustizia agraria” del pensatore inglese, passando per altri autori successivi legati al socialismo utopistico come in Fourier (1848), Charlier (1848) e Mill (1849), fino ad arrivare alla ripresa di questa tematica nel cuore del Novecento all’interno di una linea di pensiero eretica e non-lavorista come ad esempio in Bertrand Russell (1918) e Cole (1953).

La proposta di un basic income, dopo la fine del modello di produzione fordista incentrato sulla grande fabbrica, la tendenziale piena occupazione e un welfare centrato sulla prestazione lavorativa subordinata, assume oggi una nuova centralità e rilevanza teorica nelle varie proposte di egualitarismo sociale e di riforma progressiva della società capitalistica avanzata. L’intuizione di Paine, collocata in un contesto pre-industriale segnato dalla presenza prevalente di una composizione di classe incentrata in piccoli artigiani e commercianti, ritorna ad avere una sua specifica attualità nel tempo presente proprio perchè cercava di fondare i diritti sociali a livello universale non legandoli alla possesso di una proprietà né ad un lavoro subordinato quanto piuttosto al semplice fatto di possedere dei requisiti naturali di cittadinanza e di partecipazione alla vita attiva della repubblica post-aristocratica. Se l’appropriazione privata delle terre viene letta (diversamente dal pensiero liberale classico di Locke che ne legge invece un diritto naturale) come una forzatura rispetto al diritto naturale comunitario alla fruizione collettiva, la risposta di Paine (in questo pienamente in sintonia con il pensiero liberale) non consiste nel prefigurare una nuova e più equa redistribuzione delle terre quanto invece rimettere in circolazione i profitti generati dal loro sfruttamento. In questo senso egli anticipa le successive concezioni di welfare che porteranno, nell’epoca del lavoro, alla stagione socialdemocratica e keynesiana di un’economia di mercato che tutelasse attraverso questa ricollocazione della ricchezza fasce più larghe di popolazione.

 

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