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Serve una rete di protezione contro il disagio

di Carlo Dell'Aringa

E’ ormai evidente – come confermano i dati del Sole 24 Ore – che un numero crescente di famiglie fa fatica ad arrivare alla fine del mese. Ce lo ricordano spesso anche l’Istat e la Banca d’Italia che, con le loro indagini, stanno registrando un progressivo peggioramento dei bilanci familiari e una crescita della povertà: un bambino su quattro vive in condizioni di povertà. Questo succede nell’Italia del Duemila.

Segnali altrettanto preoccupanti provengono dal mondo del lavoro. Il numero di disoccupati è aumentato di quasi mezzo milione di unità. Si tratta di persone precedentemente inattive che, in pochi mesi, sono diventate attive, cioè si sono messe a cercare lavoro con maggiore intensità. Senza peraltro trovarlo e quindi sono diventate statisticamente disoccupate. La sostanza cambia poco, sempre di mancanza di lavoro si tratta. Ma il fenomeno non è rilevante solo dal punto di vista statistico: segnala un chiaro peggioramento sul piano sociale. Prima gli inattivi senza lavoro erano “scoraggiati”, ora una parte crescente di costoro si mette “disperatamente” alla ricerca attiva di un posto. Ma continua a non trovarlo.

Gli aiuti pubblici ristagnano, anche loro. Nel momento in cui c’è maggior bisogno di welfare, il welfare si riduce. Il patto di stabilità interno costringe molti comuni a tagliare l’assistenza. Nel frattempo la disoccupazione diventa di lunga durata. E i sussidi di disoccupazione raramente vanno oltre i dieci mesi: chi rimane disoccupato più a lungo, rischia di rimanere senza lavoro e senza reddito. Negli altri Paesi esiste un minimo di reddito garantito anche per chi esce dal sussidio ordinario. Da noi non se ne parla e il motivo è il solito: troppo costoso. Come troppo costosa sarebbe una riforma del fisco che prevedesse un’imposta negativa, cioè un sussidio per coloro che sono sotto un reddito di sopravvivenza. Interventi in questa direzione dovrebbero stare in cima all’agenda politica (non appena si liberassero risorse). Ma nel frattempo si può iniziare a promuovere un nuovo modello di cooperazione tra settore pubblico e settore privato per garantire la sostenibilità di un sistema di welfare che svolga in modo migliore la sua funzione di rete protettiva.
Molti dei bisogni scaturiscono dall’invecchiamento della popolazione e dall’aumento dei non autosufficienti. In altri Paesi si cerca di dare una risposta a questi bisogni crescenti attraverso forme di prestiti vitalizi ipotecari.

La domanda potenziale di questa tipologia di strumenti in Italia è elevata, in quanto la quota di ricchezza degli ultra-65enni investita in immobili (calcolata dal l’Ania in oltre l’80%) è ampiamente superiore a quella di molti altri Paesi che, come la Francia, hanno avviato da tempo queste forme di sostegno dei redditi degli anziani proprietari di case. Il ruolo dell’organo pubblico, come “facilitatore” di questo processo è fondamentale (provvedendo all’informazione, alla regolazione, alle garanzie…).
La leva fiscale, poi, potrebbe essere più utilmente adoperata per far incontrare una domanda e un’offerta di welfare che non riescono a vedere la piena luce in quel mondo del privato sociale che non è ancora sufficientemente organizzato per sfruttare tutte le proprie potenzialità. Le stesse forme di welfare aziendale, di cui si parla sempre più spesso, vengono agevolate (e in misura significativa) in diversi Paesi. Con agevolazioni fiscali che vengono calibrate in relazione al tipo di servizio e di aiuto offerti e in relazione alle caratteristiche dei destinatari degli interventi (distinguendo tra i vari tipi di bisogni). Spesso tutte queste misure danno luogo a maggiore occupazione e anche di buona qualità. L’aiuto fiscale, infatti, è spesso subordinato all’accreditamento delle strutture fornitrici dei servizi e a un utilizzo di forme di lavoro stabile e adeguatamente retribuito.
In definitiva, le poche risorse pubbliche disponibili vengono utilizzate come “leva” per moltiplicare gli effetti in termini di welfare e di occupazione. È un modo nuovo, ma obbligato, per affrontare con efficacia gli squilibri della finanza pubblica e coniugare interesse particolare e interesse generale, interesse pubblico e interesse privato.

Articolo pubblicato su Il Sole 24 ore 

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