La misura varata nel 2019 dal governo «Conte 1» sostenuto da Lega e Cinque Stelle sarà rinominata e, stando agli annunci che si susseguono frenetici nelle ultime ore, finirà per assomigliare a un sussidio di ultima istanza riservato agli over 60, alle famiglie con invalidi e portatori di handicap e altri soggetti che oscillano tra l’indigenza e la povertà assoluta, cioè la condizione delle famiglie e delle persone che non possono permettersi le spese minime per condurre una vita dignitosa. Il progetto è stato confermato ieri dalla presidente del Consiglio Meloni. «Lasceremo la massima tutela a tutti coloro che non possono lavorare, agli over 60 e a chi è senza reddito e ha minori a carico – ha detto – riformeremo tutta la materia».
Si andrebbe così a configurare un ritorno alla «social card» voluta da un governo Berlusconi nel 2009. Era una forma di sostegno, ispirata al pauperismo tipico del capitalismo neoliberale compassionevole. Fu chiamata anche «Carta acquisti». Era rivolta a cittadini italiani, e non stranieri, a partire dagli over 65 anni e dalle famiglie con figli di età inferiore ai 3 anni, con indicatore Isee fino a 6.198 euro che saliva a 8.264 euro per gli ultra 70enni. Si presume che la platea sarà più ampia di allora, ma comunque inferiore al 44% dei «poveri assoluti» raggiunti dal «reddito di cittadinanza». A questo modesto risultato andranno sottratti nel prossimo futuro chi ha tra i 18 e i 59 anni .
Rispetto agli attuali 8 miliardi di euro annui, tanto costa il «reddito», saranno subito tagliati 958 milioni destinati agli «occupabili» che perderanno il sussidio a luglio. «Risparmi» comunque irrisori rispetto ai costi sociali della nuova ondata di povertà. La Svimez ha stimato un aumento di 700 mila persone in povertà, 500 mila sarebbero solo nel Sud. Andranno ad aggiungersi alle attuali 5,6 milioni (Il Manifesto, 29 novembre).
Tagliare il «reddito di cittadinanza» oggi, significa aggravare la loro condizione domani. Come più volte ripetuto in questi mesi la «riforma» potrebbe coinvolgere i servizi sociali locali sul modello del «reddito di inclusione» del Pd di Renzi nel 2017. Sui comuni, già in ginocchio, potrebbe allora abbattersi la nuova crisi creata dal taglio voluto dal governo.
Meloni intende separare l’assistenza agli indigenti dalle «politiche attive del lavoro» basate sull’astratto incrocio tra «domanda» e «offerta» del lavoro. Lo avrebbero voluto realizzare i Cinque Stelle che hanno applicato all’Italia un sistema di Workfare esistente nei paesi capitalistici che cercano inutilmente di mettere al lavoro disoccupati, poveri e precari con tecniche premio-punitive. Queste tecniche non spariranno, Saranno reinventate per governare una manodopera non qualificata, che lavora precariamente o in nero, senza titoli di studi superiori: il 70% degli «occupabili» non ha la terza media.
Sarà inoltre reinterpretata, e non del tutto cancellata, la «congruità» dell’offerta di lavoro prevista nell’attuale «reddito di cittadinanza» che i «moderati» di Maurizio Lupi avrebbero voluto rimuovere. «Se l’offerta sarà nei limiti temporali, e vicino casa, il percettore dovrà accettare qualsiasi tipologia di offerta di lavoro» ha detto Durigon. Dunque non ci sarà l’obbligo di trasferirsi da «Napoli a Trieste». Basterà quello di non superare i 250 km dalla residenza, ad esempio. E non si potrà «rifiutare un lavoro con contratto collettivo». In compenso le spese sarebbero a carico del lavoratore.
«Qualsiasi persona, anche laureata, se gli offrono un posto, deve andare a fare anche il cameriere» ha aggiunto. Gli attuali 18 mila laureati tra gli «occupabili» (il 2,8% su 660 mila) sono avvertiti. Dovranno partecipare, a ogni costo, all’economia del disprezzo e della povertà. Venendo però meno il «reddito» a luglio il governo non avrebbe più lo strumento coercitivo per indurre laureati, e non, a farsi sfruttare dai balneari e dai ristoratori o in agricoltura con i voucher.