Due procedure di infrazione sono state avviate ieri dalla Commissione Europea contro le principali misure sociali varate nella scorsa legislatura da governi diversi: il cosiddetto «reddito di cittadinanza» e l’assegno unico per i figli definito «universale».

Per quanto riguarda il «reddito di cittadinanza» è stata colpita una norma chiaramente discriminatoria e politicamente razzista. Sono stati esclusi i più poveri tra i poveri, soprattutto le persone di origine extra-europea titolari del permesso di soggiorno per lungo-soggiornanti residenti da meno di dieci anni in Italia di cui gli ultimi due continuativi; quelle provenienti dall’Ue, come per esempio i rumeni; i titolari di protezione internazionali e gli stessi familiari dei cittadini europei. Senza contare i casi degli italiani alla ricerca di un lavoro all’estero. Loro non potrebbero avere il «reddito» una volta rientrati. Per la Commissione Ue queste sono violazioni della «libera circolazione dei lavoratori, dei diritti dei lavoratori e della tutela dei residenti esteri di lungo termine». Misure sociali come il «reddito» vanno riconosciute a chi ha perso l’occupazione, indipendentemente dal periodo della residenza. Al governo sono stati dati due mesi di tempo per intervenire sui rilievi che sono stati mossi, altrimenti la Commissione invierà un «parere motivato», secondo stadio della procedura. Il terzo sarebbe il ricorso alla Corte di giustizia europea. L’ultimo, la multa.

Sull’assegno unico l’Italia è stata «messa in mora» sul periodo di residenza fissato in questo caso a due anni, e non a dieci come in quello del «reddito di cittadinanza». Per Bruxelles nessun requisito di residenza va imposto per ricevere questo tipo di benefici. L’«assegno» violerebbe «le regole comunitarie dato che non riconosce parità di trattamento ai cittadini Ue».

Quella iniziata ieri non è l’unica azione legale in corso contro il «Reddito». «Siamo vicini all’udienza alla Corte europea, il tribunale di Bergamo ha fatto ricorso contro i 10 anni di residenza – ricorda Alberto Guariso, responsabile del servizio anti-discriminazione dell’Asgi – Nel frattempo aspettiamo la pronuncia della Corte costituzionale che però ieri, dopo la notizia sulla procedura di infrazione, ha rinviato l’udienza a nuovo ruolo».

«Purtroppo ci sono voluti tre anni di azioni legali per arrivare a questo, altrimenti non sarebbe accaduto nulla – aggiunge Paola Fierro coordinatrice del servizio anti-discriminazione dell’Asgi – Il messaggio è che le prestazioni sociali non hanno nulla a che vedere con la residenza ma con i bisogni. Su questo nesso esistono le pronunce della stessa Corte Costituzionale».

Va ricordato che Asgi, insieme agli «Avvocati per niente» la Naga e «L’altro diritto» ha depositato per tempo una denuncia alla Commissione Ue e ha chiesto la procedura di infrazione.

Anche la commissione sul «reddito di cittadinanza», nominata dal governo Draghi e presieduta da Chiara Saraceno, ha chiesto una forte riduzione del requisito dei 10 anni per l’accesso al reddito. Inutilmente. «In Italia si trascina l’idea che si può beneficiare di un diritto sociale solo se stai fermo in un posto, ma in questi casi non ha senso – continua Guariso – La norma sui dieci anni di residenza è un requisito assolutamente sproporzionato che ha l’unico effetto di escludere gli stranieri. Solo il 9% di loro ha avuto accesso alla misura, mentre la quota delle famiglie straniere povere è del 25% molto di più di quelle italiane. A oltre 100 mila persone è stato riconosciuto il diritto, pur in assenza del requisito previsto dalla legge. Ma poi si sono viste revocare la prestazione. A chi è stata richiesta la restituzione direi che, in attesa della pronuncia della Consulta, la cifra non andrebbe restituita. La procedura di infrazione colpisce il tentativo italiano di non garantire l’uguaglianza di accesso al Welfare a italiani e a stranieri, sia pure con mezzi indiretti».

«Ci auguriamo che il governo Meloni si fermi e non cancelli il Reddito. E auspichiamo uno specifico indicatore Isee per eliminare le discriminazioni senza tradire il principio di progressività, rispettando l’effettiva condizione delle famiglie» hanno detto Daniela Barbaresi e Tania Scacchetti della Cgil.

La giornata di ieri proietta un’altra luce sui quattro anni di «reddito di cittadinanza» . Se per il Conte 1 (Cinque Stelle+Lega) era prevalente l’intento razzista che ha escluso gli stranieri extracomunitari e i rifugiati, il governo Draghi ne ha inclusi una parte ma ha discriminato altri. Una prova dell’uso discriminatorio della «cittadinanza», variabile a seconda della maggioranza e della misura adottata. Anche per la «sinistra», presunta tale o di nuovo conio populista o «progressista», c’è un messaggio. È diretto in particolare a chi rivendica il «reddito di cittadinanza», non ritiene che il requisito dei 10 anni sia un problema politico e oggi non lo considerano nemmeno mentre il governo Meloni lo vuole smantellare. Lo Stato sociale resta un mantello di arlecchino.

Tratto da Il Manifesto