Riflessioni a voce alta su riforma degli ammortizzatori sociali e reddito garantito in Italia.
L’assai onorevole Ministro del Welfare Maurizio Sacconi, solo un mese fa, di risposta a una domanda sulla riforma degli ammortizzatori sociali, ebbe a dire: “ho nel cassetto il disegno di legge sullo Statuto dei lavori e sulla riforma degli ammortizzatori sociali. Le posso anticipare che il sistema sarà razionalizzato, ma sarà come oggi a base assicurativa e a due pilastri; niente reddito garantito per nessuno, perché bisogna evitare ogni forma di deresponsabilizzazione e di intrappolamento fuori dal mercato del lavoro”. Era domenica 22 novembre 2009, pagina 5 de Il Sole 24 Ore, autore dell’intervista Fabrizio Forquet.
Neanche un mese dopo, sabato 19 dicembre le pagine economiche dei maggiori quotidiani italiani rilanciano le affermazioni di Mario Draghi, Governatore della Banca d’Italia, in occasione del ricevimento di una laurea honoris causa in Statistica all’Università di Padova: “«Indennità per tutti i disoccupati»” (titolo de La Stampa, p. 27); “«Ammortizzatori sociali, troppi esclusi»” (titolo del Corriere della Sera, p. 44).
Sulla stessa pagina del Corsera un commento di Maurizio Ferrera sostiene la necessità di “istituire uno schema di base con prestazioni omogenee per tutti i lavoratori.” Abbandonando “la vecchia impronta assicurativa (particolarmente punitiva nei confronti dei precari, che spesso non prendono niente)”, per “adottare invece l’approccio dell’«universalismo selettivo»: tutti i disoccupati possono accedere a sussidi differenziati in base alla situazione economica, a patto che si diano da fare per cercare un nuovo posto di lavoro”.
La timida risposta del Ministro Sacconi arriva il giorno successivo: un disegno di legge per lo Statuto dei lavori verrà presentato dopo le elezioni regionali della prossima primavera. Due saranno i pilastri della riforma: «una indennità di disoccupazione su base generalizzata ed un secondo strumento integrativo che sarà soprattutto rivolto a conservare il rapporto di lavoro quando, può ridursi il volume della produzione ed anche le ore lavorate» (così il commento virgolettato dalle pagine de Il Mattino on line).
Appare evidente quanto il Governo sia incapace di articolare un progetto adeguato alle esigenze poste dalla nuova questione sociale, del precariato e del lavoro autonomo senza sicurezze, garanzie e diritti, dinanzi a una crisi che tutti auguriamo di lasciarci alle spalle nel 2010; con l’amara consapevolezza che da quella fuoriuscita non giungerà nuovo lavoro, né tanto meno la possibilità di recuperare i posti di lavoro perduti.
E fanno tenerezza, per non dire rabbia, le reazioni dei sindacati confederali al dialogo a distanza Sacconi-Draghi, a partire da Susanna Camusso (Cgil), la quale si premura di osservare che “sulla riforma degli ammortizzatori sociali non ci risulta sia aperto un tavolo”; “ci auguriamo, comunque, che il governo non decida di procedere come spesso ha già fatto: ossia portando il testo del decreto direttamente alla fiducia, senza discuterlo” (il Ministro Sacconi parla esplicitamente di un Disegno di Legge da presentare alle Camere a primavera, ndr). Per concludere poi, mestamente, che “non vedo nelle parole del ministro nessuna valorizzazione della cig e del suo eventuale allargamento” (così una nota Ammortizzatori sociali e Statuto dei lavori, impegni per il 2010, on line su AdnKronos/Labitalia). È un misto di lagnanza per l’assenza di consultazione, cui si affianca la rivendicazione di uno strumento, come la cassa integrazione guadagni (straordinaria, ci verrebbe da aggiungere), sicuramente necessario in questi tempi, poiché non c’è nulla di meglio, ma limitato a una fetta assai minoritaria della forza lavoro attiva e in crisi, in questo Paese; e che comunque passa attraverso la mediazione-cogestione sindacale. Elemento centrale quest’ultimo, ribadito anche da Giorgio Santini (Cisl), che auspica “una forma di protezione grazie alla bilateralità e alla cassa ordinaria” (nella stessa nota di agenzia); cioè al potenziamento degli enti bilaterali, in cui il sindacato confederale la fa da padrone, e rilancio dello status quo della cig.
Sembra di assistere ad uno stanco e odioso gioco delle parti. Con il Governo a recitare il ruolo di chi non mette i soldi e lascia del tutto inattuato il processo di estensione delle garanzie e delle tutele alle nuove forme del lavoro; con buona pace di giuslavoristi assassinati sotto le loro case, come Massimo D’Antona e Marco Biagi, che lo stesso Governo cita, senza dare una minima conseguenza al proprio aprire bocca. Al contempo il Governatore di Bankitalia passa a battere cassa in nome del rilancio dell’economia a suon di crescita dei consumi; e se i soldi non ci sono, almeno un po’ di reddito lo Stato deve darlo. Se non altro ha il merito di parlare quasi rawlsianamente di “equità sociale” e di pericolo di tenuta per gli “esclusi” dalle garanzie del Welfare: è un indubbio punto a suo favore! Di contorno le forze sindacali confederali intravedono il rischio di deperimento della loro possibilità di mediazione, controllo, gestione delle relazioni tra economia, politica e lavoro. È questo un passaggio assai delicato, che meriterà ulteriori interlocuzioni e chiarimenti; in particolare con la Cgil: ci si assesterà ancora, e per sempre, sulla difesa resistenziale di un accordo sociale oramai sconosciuto alle ultime due generazioni di precari-e, autonomi e disoccupate/i? Hic Rhodus, hic salta!
È per lo meno da un ventennio che il modello sociale italiano dovrebbe essere adeguato alle trasformazioni della legislazione sul mercato del lavoro. E ormai un trentennio e oltre che l’intero sistema di produzione, tutela e garanzia delle forme del lavoro necessita di un nuovo patto sociale post-fordista, che tuteli l’essere umano e la sua esistenza dignitosa al di là del lavoro. Non ci risulta che riformisti, reazionari, socialisti, liberali, conservatori, nonché più o meno ex comunisti e democristiani, lo abbiano mai fatto. Per tacere dei sindacati confederali, ancorati alla base di pensionati e dipendenti a tempo indeterminato della grande fabbrica e della funzione pubblica centrale e locale.
In mezzo a questo ridicolo e tragico teatrino (ben oltre quello che Artaud poteva immaginare teorizzando il teatro della crudeltà), in cui tutti i soggetti coinvolti mirano alla conservazione di insopportabili e inique rendite di posizione, finiscono stritolate per lo meno due generazioni di venti-quarantenni.
Eppure, nel silenzio assordante di una società immobile e di una classe dirigente autoreferenziale, lo spazio ci sarebbe per cambiare, radicalmente, le cose. Lo chiedono i lavoratori autonomi e consulenti riuniti in ACTA (Associazione Consulenti del Terziario Avanzato), con la loro azione di sensibilizzazione alla Triennale di Milano riguardo alla gestione separata INPS in cambio dell’assenza di qualsiasi tutela sulla continuità di reddito e l’assistenza sociale. Lo pensano sociologi, giuslavoristi, economisti che vogliono farla finita con un modello sociale il cui unico strumento di reale garanzia per le difficoltà dei singoli è la famiglia (e spesso la donna), sia per i più giovani, che per i più anziani.
E questo spazio si situa dentro la certezza della definizione di un reddito garantito, di base, che accompagni le più o meno giovani generazioni dentro e fuori dal mercato del lavoro, insieme con i nuovi espulsi dalle forme del lavoro, ai tempi della crisi. È una questione di civiltà e di rispetto dell’autonomia individuale, della libertà di accettare o rifiutare un lavoro, dell’autodeterminazione per esercitare il proprio diritto all’intrapresa economica. Sarebbe un orizzonte post-lavorista, libertario, sociale e garantista, sul quale varrebbe la pena discutere, ma solo per come applicarlo. Assumendo che la tutela dell’essere umano oltre, e spesso contro, le attuali forme del lavoro, è una questione di dignità umana. E una società che non adegua le forme di tutela e garanzia per rendere più dignitosa l’esistenza dei più giovani (insieme con quella dei più anziani) merita di essere dimenticata dalla Storia.