L’avversione della destra nei confronti del Reddito ha radici antiche, ad esempio in Friuli Venezia Giulia, una volta arrivato al governo il forzista Tondo aveva immediatamente smantellato la tiepida legge regionale sul reddito voluta nel 2006 dalla precedente giunta Illy.

All’inizio di marzo l’attacco del governo al Reddito prosegue con la pubblicazione delle bozze del nuovo provvedimento volto a sostituirlo già nel corso di quest’anno con lo strumento denominato “MIA” ovvero Misura di Inclusione Attiva che dovrebbe entrare in vigore il 1 settembre 2023.

In primo luogo si assiste ad un cambiamento semantico importante: nella nuova denominazione infatti scompare del tutto la parola “reddito”, sostituita dalla più vaga e generica “misura”, anche se la parola più corretta da utilizzare per descriverla sarebbe stata “sussidio”.

La legge finanziaria per il 2023, approvata lo scorso dicembre, aveva prorogato il Reddito di Cittadinanza solo fino al 31 luglio. Rimane (volutamente) vacante quindi il mese di agosto, guarda caso il mese dove maggiore è il ricorso al lavoro stagionale, sottopagato e ad alto tasso di sfruttamento, per venire incontro alle esigenze del settore turistico.

Accogliendo la proposta avanzata tempo fa dall’attuale sottosegretario al Lavoro Claudio Durigon, il governo dovrebbe inoltre escludere la possibilità che il nuovo sostegno possa essere chiesto a ripetizione, come accadeva per il Reddito di Cittadinanza. Ne consegue che viene stabilita la durata della possibilità di accesso: per le famiglie senza occupabili, la durata massima della misura sarà di diciotto mesi alla prima domanda, di dodici dalla seconda in avanti. Prima di chiederla nuovamente, si dovrà attendere un altro mese. Per i nuclei con persone occupabili (dai 18 ai 60 anni), il sostegno scadrà al termine dei dodici mesi la prima volta, al termine dei sei la seconda. Un’eventuale terza richiesta potrà essere presentata solo dopo uno stop di un anno e mezzo. L’intenzione del governo è quella di spingere in questa maniera i cosiddetti occupabili ad accettare forzosamente qualunque impiego.

Come già stabilito con la finanziaria, l’esecutivo avrebbe scelto di dividere i potenziali beneficiari della MIA in due fasce: una formata dalle famiglie povere senza persone occupabili e un’altra dai nuclei con occupabili. Le prime sono quelle in cui è presente almeno un minorenne, un over60 oppure una persona disabile. Le seconde sono invece quelle di cui tali soggetti non fanno parte, ma che presentano almeno un individuo tra i 18 e i 60 anni.

È interessante notare che il criterio di appartenenza a una delle due categorie non dipende dalla situazione del singolo ma viene sempre determinato a livello familiare: la misura è quindi familiare e non individuale, perpetuando in tal modo la centralità della famiglia.

Per quanto riguarda l’importo, la nuova misura prevede un’importante diminuzione. L’importo base del sostegno, per i nuclei formati da una sola persona, dovrebbe essere di 500 euro mensili, inferiore al valore medio attuale, che è di 546 euro. Non è invece ancora certa l’entità della somma extra per l’affitto, che con il reddito di cittadinanza arrivava fino a 280 euro al mese e che potrebbe essere abbassata e rimodulata in base alla numerosità del nucleo familiare. Per gli occupabili, il sostegno base dovrebbe invece essere ridotto a 375 euro.

Alla stretta sull’importo erogato si aggiunge anche la stretta delle condizioni per accedervi.  I requisiti Isee richiesti per accedere al beneficio dovrebbero essere infatti ampiamente rivisti. Il tetto per individuare gli aventi diritto alla MIA dovrebbe infatti scendere dagli attuali 9360 euro previsti per il Reddito di Cittadinanza a 7200 euro lordi a famiglia, pari a 600 euro mensili a famiglia, soglia inferiore a quella di povertà relativa, che secondo l’Istat, nel 2022 ammontava a 733 euro mensili.

Il governo stima che questo taglio potrebbe far fuori circa un terzo dei percettori dell’attuale sostegno statale. L’unico intervento non restrittivo, riguarda il requisito della residenza in Italia dai 10 ai 5 anni, aumentando di poco, in questo senso, la platea dei potenziali beneficiari. Si tratta di un atto dovuto per non correre il rischio di censure da parte della Consulta o dell’Unione Europea, che hanno già annunciato di aprire una procedura d’infrazione contro l’Italia per questo comportamento discriminatorio, non sarà comunque tale riduzione da 10 anni a 5 di residenza per poter accedere al beneficio a evitarla.

La novità più corposa dovrebbe riguardare le agenzie private del lavoro che, archiviata l’esperienza dei navigators, potrebbero essere coinvolte nel processo d’inserimento nel mercato del lavoro del beneficiario, ottenendo un incentivo per ciascuna persona occupabile alla quale dovessero riuscire a procurare un contratto, anche a termine o part time.

Per quanto riguarda le condizionalità da rispettare per usufruire del beneficio, rimangono valide quelle già esistenti relativamente al tipo di consumi da effettuare e alle proprietà dichiarate. Si restringono invece quelle relative all’accettazione di una proposta d’impiego, tale materia è però ancora nebulosa, in quanto non è chiaro il significato di congruità dell’offerta di lavoro. Si pensa di mantenere valido solo il parametro della distanza dell’eventuale posto di lavoro dal luogo di abitazione.

Vengono infine annunciati rafforzi sostanziali nei controlli e inasprita la pratica della decadenza dal beneficio per coloro i quali non rispettano gli impegni previsti dai patti d’inclusione sociali o d’inserimento al lavoro, sulle dichiarazioni di falso e sul lavoro in nero.

Ricordiamo che le persone denunciate per frode rappresentano poco più dell’1% del totale dei percettori del reddito in questi tre anni. Mentre i controlli dell’Inps hanno bloccato 3 milioni di richieste indebite, negli scorsi anni.

Infine, con la riforma del Reddito di Cittadinanza e della Pensione di Cittadinanza e l’assorbimento di questi nella MIA, il governo punta a risparmiare una cifra totale tra i 2 e i 3 miliardi all’anno dei circa 8 spesi annualmente con il Reddito di Cittadinanza.

In questi anni il Reddito di Cittadinanza ha svolto un ruolo decisivo in termini di protezione sociale ed evitato che centinaia di migliaia di persone scivolassero in uno stato di povertà assoluta, soprattutto nei difficili momenti della pandemia. A fronte di questa importante funzione, non ci sfuggono i limiti, più volte sottolineati anche in diversi articoli effimeri del Reddito di Cittadinanza introdotto dal primo governo Conte in particolare in merito ad un’eccessiva condizionalità e un suo essere concepito come una sorta di sussidio di povertà.

Crediamo sia da intraprendere una battaglia politica che vada in senso opposto a quanto prospettato dal governo Meloni, dunque per una difesa e per un deciso miglioramento del reddito in senso inclusivo e universalistico. Riteniamo utile cogliere l’invito lanciato da decine di realtà nelle scorse settimane per la costruzione di un’assemblea nazionale online sul reddito a fine marzo per discutere della proposta di dar vita a una campagna chiamata “Ci vuole un Reddito!”. Non possiamo permetterci di rimanere ancora in silenzio.

Tratto da Effimera