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Intermittenti: la critica, la proposta, la lotta

di Luca Nobile

L’immensa maggioranza dei più di 12 mila artisti drammatici, 3 mila danzatori e coreografi, 19 mila musicisti, cantanti e coristi, 25 mila tecnici di scena, di pista, del cinema e del video, censiti alla metà degli anni novanta, così come migliaia di artisti del circo, delle arti di strada, del cabaret e del music-hall vivono grazie ad un reddito minimo. Cronistoria di una lotta per la difesa del diritto al reddito.

La lotta degli intermittenti dello spettacolo e dell’audiovisivo, scoppiata in Francia il 27 giugno 2003, all’indomani della firma del protocollo di intesa tra la confindustria francese (Medef) e i sindacati moderati e minoritari (Cgc, Cfdt e Cftc) per la revisione degli annessi VIII e X dell’Unedic (il sistema che regola il mercato del lavoro), rappresenta di certo, rispetto alla situazione italiana, un fronte particolarmente avanzato. Se, per un verso, ciò può farcela apparire come qualcosa di parzialmente estraneo, per l’altro può offrirci degli elementi di anticipazione notevoli riguardo alle dinamiche a venire del welfare europeo.

Nel quadro di uno stato sociale complessivamente più evoluto del nostro, che eroga molte forme di sussidi e di servizi per far fronte all’esclusione sociale, gli annessi VIII e X dell’Unedic riconoscono uno statuto di eccezione ai tecnici e agli artisti dello spettacolo dal vivo (teatro, danza, circo, arti di strada) e dell’audiovisivo (cinema, radio, televisione), per il fatto che il loro impiego è intrinsecamente saltuario, legato all’occasionalità di ogni singola produzione, e per il fatto che il salario non ripaga, di norma, che la parte esecutiva del lavoro, lasciando fuori tutto il momento preparatorio, formativo e creativo, che in genere matura nei periodi di ozio.

In considerazione di ciò, e in virtù della speciale attenzione che la Francia ha sempre riservato alla propria produzione culturale (residuo di mai sopite mire egemoniche, di impronta segnatamente antiamericana), già a partire dal 1958, ma in maniera definitiva con gli anni “caldi” 1964-1969, gli artisti e i tecnici dello spettacolo e dell’audiovisivo godono di un regime particolare in fatto di sostegno al reddito, che garantisce, a chiunque abbia totalizzato 507 ore di lavoro o 43 contratti giornalieri negli ultimi 12 mesi, una cospicua allocazione di risorse per tutti i periodi di non lavoro dei 12 mesi successivi. Ciò significa, in pratica, che il 70% circa dei 98 mila tecnici e artisti sottoposti al regime d’intermittenza vive oggi in Francia con meno di 4 mesi di lavoro all’anno.

L’invidiabile condizione, tanto più degna di nota in quanto la qualifica di “artista” non è altrimenti definita che dalla comprovata remunerazione in quel settore, ha attirato su di sé, sin dagli anni Novanta, le arcigne attenzioni dei magnati dell’industria e del commercio, decisi a decurtare, come ovunque, la spesa per l’assistenza pubblica. La pronta e combattiva reazione degli interessati aveva tuttavia sempre impedito la revisione degli annessi in oggetto, fino alla notte tra il 26 e il 27 giugno di quest’anno, quando il Movimento delle imprese francesi (nuova ammiccante denominazione del vecchio Centro nazionale del padronato francese) ha sottoscritto, in combutta con i tre sindacati minoritari (e contro la Cgt, cioè la Cgil francese), il protocollo di intesa per la modifica degli annessi VIII e X, ratificato poi il 6 agosto dal Ministero degli affari sociali. Per tutta risposta, durante i mesi di luglio e agosto, i principali festival di danza, di cinema e di teatro delle città francesi, autentici motori dell’industria turistica e alberghiera, sono stati annullati a causa degli scioperi e si sono trasformati in altrettanti laboratori di antagonismo politico. La protesta e la critica degli intermittenti non si è però limitata ad un semplice rifiuto del protocollo di intesa. Accerchiati da una campagna mediatica che non cessava di dipingerli come approfittatori e parassiti, hanno dovuto, da un lato, generalizzare la lotta, collegandosi con gli altri settori sociali messi in pericolo dal governo Raffarin e, dall’altro, raccogliere la sfida tecnica della riduzione del loro deficit specifico, conducendo un’analisi dettagliata del protocollo d’intesa, della sua filosofia e del metodo con cui si prefigge di ridurre la spesa.

Il primo frutto di questo lavoro è stato il Dvd autoprodotto dal Coordinamento intermittenti e precari dell’Ile de France (Cip-Idf) il 25 luglio, con il titolo Nous avons lu le protocole du 26 juin 2003 (abbiamo letto il protocollo del 26 giugno 2003, reperibile sul sito http://video.protocole.free.fr). In questo video sono esposti con molta chiarezza i principali motivi di critica al protocollo stesso.

Anzitutto, il protocollo esclude dal regime di intermittenza, cioè dal diritto all’indennità, una quota tra il 25 e il 35% degli intermittenti attuali, e in particolare la fascia più fragile di essi, cioè quelli che con maggiore difficoltà riescono a totalizzare le 507 ore di lavoro in 12 mesi, necessarie ad accedere al sussidio. Infatti adesso le 507 ore di lavoro devono essere totalizzate, anziché in 12, in 10 mesi, e l’indennità cui si accede non copre più i 12 mesi successivi, ma soltanto 8 mesi. Questo punto è fortemente criticato, perché opera i tagli nei punti sbagliati, penalizzando i lavoratori più deboli, anziché limitare le misure di sostegno al reddito dei lavoratori più forti.

In secondo luogo, gli 8 mesi della nuova indennità non sono più “calendariali” ma “capitalizzati”, cioè non si riazzerano alla fine dell’anno, ma durano fino ad esaurimento (glissement o “slittamento”). Finora il lavoratore poteva essere indennizzato per tutti i 12 mesi successivi all’apertura del suo fascicolo, al termine dei quali la sua situazione si azzerava, veniva aperto un nuovo fascicolo, e si calcolava se nei 12 mesi appena trascorsi figuravano di nuovo le 507 ore di lavoro necessarie ad ottenere l’assistenza per un altro anno. In questo modo, chi lavorava di meno era mutualisticamente sostenuto da chi aveva lavorato di più. Ora invece gli 8 mesi sono “capitalizzati”, cioè ognuno si consuma esclusivamente i suoi, e, se lavora parecchio, il riesame del suo fascicolo può avvenire anche dopo 20 o 30 mesi. A quel punto, il calcolo delle 507 ore avverrà sui 10 mesi consecutivi più densamente lavorati, e quindi saranno escluse dal calcolo una gran parte delle ore di lavoro. Oltretutto, due persone che abbiano lavorato e guadagnato in misura uguale sul totale dei 20 mesi, potranno, in maniera del tutto aleatoria, vedersi calcolare delle ore di lavoro più o meno ben pagate, ricevendo così delle indennità fortemente diverse per il solo fatto, poniamo, di aver guadagnato bene nella prima parte dell’anno e male nella seconda, o viceversa. Questo punto è fortemente criticato perché, anziché correggere l’aleatorietà che è tipica dei lavori intermittenti, instaura nuove diseguaglianze in maniera del tutto casuale, incentiva false dichiarazioni delle ore lavorate, e soprattutto desolidarizza il dispositivo di indennizzo, individualizzandolo.

Il terzo punto sottoposto a critica è il cosiddetto décalage o “differenziale”, che misura i giorni indennizzabili nell’arco di un mese. Finora, se uno lavorava 2 giorni su 30, e aveva maturato il diritto all’indennizzo, gli venivano ovviamente rimborsati i rimanenti 28 giorni. Con il nuovo protocollo, il calcolo dei giorni rimborsabili diventa invece un meccanismo perverso. In pratica, si parte dalla definizione di un salario giornaliero di riferimento, relativo all’anno precedente: una specie di salario medio “storico”. I giorni di non lavoro rimborsati ogni mese non saranno più quelli effettivi, ma dipenderanno dal differenziale tra questo salario medio del passato e la paga attuale.

Se, ad esempio, il mio Salario giornaliero di riferimento è di 50 euro, e questo mese ho guadagnato 600 euro lavorando 2 giorni, mi saranno indennizzati non più i 28 giorni rimanenti, ma soltanto 18, come se quei 2 giorni di lavoro ne valessero 12, perché il salario è stato di 6 volte superiore alla media giornaliera dell’anno precedente. In altri termini, se vengo da una posizione debole sul mercato del lavoro, oppure se ho scelto di guadagnare poco, lavorando ad esempio con delle piccole produzioni indipendenti, allora sarò penalizzato per tutto il periodo successivo, e il mio indennizzo sarà mantenuto artificialmente basso, impedendomi di conseguire miglioramenti significativi nella condizione di vita.

Nel suo insieme il protocollo di intesa è dunque criticato come iniquo, aleatorio e inadatto alle figure dell’intermittenza. Al contrario di quanto afferma la propaganda, non contiene nessuna vera limitazione degli abusi, perpetrati soprattutto dalle imprese, che assumono come intermittente manodopera in realtà permanente. Viceversa, il protocollo brilla nel vessare i lavoratori più deboli, nel desolidarizzare i dispositivi redistributivi, e nell’introdurre divisioni e diseguaglianze aleatorie tra i lavoratori, quando dovrebbe attutire le condizioni di aleatorietà che sono tipiche dell’intermittenza. D’altra parte, esso premia i lavoratori più forti, in particolare quelli che guadagnano di più lavorando di meno, e quelli che hanno contratti e redditi distribuiti uniformemente lungo l’arco dell’anno, la cui figura, cioè, è meno prossima a quella tipica di un intermittente.

Sulla scorta di questo lavoro di analisi e di critica, condotto dal Coordinamento di Parigi, il Coordinamento nazionale del 26-30 agosto ha deciso di mettere in campo una controproposta autonoma di tutti gli intermittenti, da opporre a quella padronale, per la riforma degli annessi VIII e X dell’Unedic. A partire dall’11 settembre è stata così postata su internet (http://cip-idf.ouvaton.org) una bozza di lavoro in permanente aggiornamento per la definizione di un Nuovo modello. Gli assi portanti che vanno emergendo dalle successive stesure sono: a) l’unificazione degli annessi VIII e X in un annesso unico, che accomuni la condizione assicurativa degli intermittenti dello spettacolo dal vivo e dell’audiovisivo; b) il ripristino delle 507 ore in 12 mesi, e dei 12 mesi indennizzabili; c) la revoca del glissement e il ripristino del criterio “calendariale”; d) la revoca del Salario giornaliero di riferimento nel calcolo dei giorni indennizzabili, con introduzione di una nuova formula, volta ad incentivare dichiarazioni veridiche delle ore lavorate (è questa la punta di diamante del Nuovo modello sotto il profilo contabile), a sostegno del sistema mutualistico dell’Unedic; d) innalzamento dei tetti minimi di reddito mensile (da circa 850 € a 1115 €) ed abbassamento dei tetti massimi (da 3410 € a 2635 €).

E’ interessante notare che la rete, oltre a favorire la nascita fulminea di un Coordinamento nazionale svincolato da partiti e sindacati (ma non opposto pregiudizialmente ad essi) abbia anche consentito l’elaborazione collettiva, non soltanto della critica, ma addirittura della proposta giuridica. Sarebbe stato inimmaginabile, per il movimento operaio di un tempo, metter fuori in meno di tre mesi una proposta tendenzialmente unitaria, rispettosa dei requisiti tecnico-contabili, facendo a meno della mediazione sindacale o partitica. Ora, invece, gli alti livelli di scolarizzazione di questa forza lavoro, unitamente alla disponibilità della rete, le consentono di muoversi in tutto e per tutto come un soggetto politico autonomo, che si confronta da pari a pari con in governo e con il padronato, e che, lungi dall’affidarsi al sindacato per la mediazione giuridica, ne sollecita piuttosto l’adesione alle proposte proprie.

Nel momento in cui scriviamo è in corso un altro sciopero nazionale di quattro giorni, indetto per la “Settimana morta della cultura dal vivo” (13-19 ottobre). Le mobilitazioni sono riprese, dopo la pausa estiva, con la giornata nazionale d’azione del 2 ottobre. Da allora, soprattutto in provincia, gli intermittenti di molte città si danno appuntamento, all’ora dell’aperitivo, sotto le finestre del loro Municipio. Guarniti di alcolici e patatine, fanno a gara a chi urla più forte. Per quest’anno, la maggior parte di loro non subirà gli effetti della riforma, che entrerà a pieno regime solo dal 1 gennaio del 2005. Per quest’anno, dunque, avranno ancora parecchio tempo libero a disposizione. E degli ottimi motivi per combattere.

Breve storia dell’intermittenza in Francia

Uno statuto di intermittente fu definito, a partire dal 1936, per i tecnici e i quadri dell’industria cinematografica. Avendo i governi del dopoguerra gettato le basi per la gestione paritaria delle assicurazioni sociali, la convenzione nazionale dell’Unione nazionale per l’impiego nell’industria e nel commercio (Unedic) firmata nel 1958 estese il campo della solidarietà interprofessionale in materia di indennizzo della disoccupazione. Sotto la Quinta Repubblica, due accordi sociali introdussero un regime che non aveva quasi equivalenti in Europa. L’annesso VIII (protocollo del 13 dicembre 1964) per gli operai e i tecnici del cinema e dell’audiovisivo, e l’annesso X (protocollo del 12 giugno 1969) per gli artisti e i tecnici dello spettacolo dal vivo, collegati a questa convenzione, permettono ad ogni individuo, che dimostri un numero minimo di contratti (43) o di ore di lavoro (507) durante l’anno precedente, di ricevere un sussidio. Due leggi del 26 dicembre 1969 sulle condizioni di impiego degli artisti dello spettacolo hanno convalidato questo dispositivo, prorogato da allora al termine di negoziati sempre ricchi di controversie.

L’immensa maggioranza dei più di 12 mila artisti drammatici, 3 mila danzatori e coreografi, 19 mila musicisti, cantanti e coristi, 25 mila tecnici di scena, di pista, del cinema e del video, censiti alla metà degli anni novanta, così come migliaia di artisti del circo, delle arti di strada, del cabaret e del music-hall vivono grazie a questo complemento di reddito.

Dal 1985 al 1991 la popolazione degli intermittenti si è moltiplicata per due. Dal 1991 al 1999, il numero dei beneficiari delle indennità si è quasi duplicata di nuovo, passando da 55 mila a 98 mila, mentre l’ammontare medio della prestazione in franchi andava declinando. Si osserva in parallelo la diminuzione della durata media dei contratti, tanto per i permanenti che per gli intermittenti.

Inquieti di fronte alle minacce che i delegati del Centro nazionale del padronato francese (Cnpf) facevano pesare sugli annessi VIII e X ad ogni occasione, gli artisti e i tecnici hanno innescato nel 1992 un ciclo di mobilitazioni (occupazione del Teatro dell’Odeon, disturbo del Festival di Avignone). Nel marzo del 1993 il sistema fu prolungato fino alla fine del 1996, data alla quale l’agitazione riprese, con il risultato di un rinvio di alcuni mesi, fino al 31 dicembre del 1998. Nel 1999 si aprirono i negoziati per il rinnovo della convenzione nazionale dell’Unedic. I collaboratori dello spettacolo e dell’audiovisivo pervennero il 15 giugno 2000 ad un accordo che riporta l’allocazione di base al 75% del salario minimo, fissando un tetto di indennità giornaliera e un massimo per il cumulo mensile di salario e indennità. La sua validità era sottomessa alla conclusione di un compromesso globale tra i sindacati e il Movimento delle imprese di Francia (Medef), nuova denominazione del Cnpf. Nell’estate 2000, le sorti di decine di migliaia d’intermittenti sembrava ancora dipendere dalla buona volontà del “padrone dei padroni”, Ernest-Antoine Seillière de Laborde, che minacciava di rompere con mezzo secolo di gestione paritaria, se le sue ambizioni di “rifondazione sociale” non fossero state prese in considerazione. Firmata soltanto dal Medef, dalla Cfdt, dalla Cftc e dalla Cgc, il 30 giugno, ma data per chiusa il 4 dicembre 2000, la nuova convenzione imponeva ai beneficiari dell’assicurazione disoccupazione la conclusione di un Piano di aiuto per il ritorno all’impiego (Pare) le cui clausole sembravano poco compatibili con la situazione degli intermittenti. Essa esigeva, inoltre, una riduzione del deficit del loro regime a 1,5 miliardi di franchi in luogo dei 4 miliardi stimati. In previsione dei nuovi negoziati, prendendo a pretesto un deficit di questo regime specifico di più di 800 milioni di euro l’anno, il Medef ha da subito brandito la minaccia di una soppressione pura e semplice degli annessi VIII e X e di un loro schiacciamento sull’annesso IV dell’Unedic (lavoro interinale), prima di “strappare” alla Cfdt, alla Cftc e alla Cgc un accordo firmato la notte tra il 26 e i 27 giugno 2003 che, per l’essenziale, restringe le condizioni di accesso e di affiliazione a questo regime, riducendo nel contempo la durata e l’ammontare degli indennizzi.

 

(da Emmanuel Wallon, Dictionnaire des Politiques Culturelles de la France depuis 1959, Larousse, Cnrs Editions.)

Cronologia della lotta estate – autunno 2003

Giugno

Numerosi movimenti di protesta si attivano sul negoziato per il rinnovo dell’assicurazione disoccupazione degli intermittenti dello spettacolo (annessi VIII e X). Un po’ dovunque si formano dei collettivi. Il 26 giugno i precari associati di Parigi occupano la hall del Théatre de la Colline. A Montpellier, il gruppo Cultureendanger è violentemente sgombrato dalla hall dell’Opéra Comédie.

26/27. Firma notturna del protocollo di accordo fra tre organizzazioni padronali (Medef, Cgpme e Upa) e tre sindacati minoritari (Cfdt, Cgc e Cftc). Forza operaia e la Cgt, che hanno rifiutato di firmare il protocollo, chiamano allo sciopero. Il festival di Montpellier inaugura le ostilità: lo spettacolo di apertura e l’installazione di Alain Buffard sono annullate.

27. Su France Inter, Jean-Jacques Aillagon tenta la pacificazione: “l’intermittenza è salva”! Ma al microfono di Radio Classique, il presidente del Medef è più esplicito: “L’ambiente dello spettacolo è abituato a che non si tocchino i suoi privilegi: oggi li si tocca, come a tutti gli altri, e questo è ciò che si chiama la riforma”. La sera stessa la polizia carica con violenza i manifestanti al festival Vivacité di Sotteville-les-Rouen.

28. Al festival di Montpellier, Régine Chopinot annulla l’unica rappresentazione di Chair-Obscur.

29. Jean Paul Montanari, direttore del festival di Montpellier, annulla l’edizione 2003. Stéphane Lissner sospende l’apertura del festival di Aix-en-Provence. Jean Jacques Aillagon si rammarica “che il lavoro degli artisti ed il pubblico siano presi in ostaggio” da una “protesta irriflessa”.

A cascata. Sono annullati i festival di Marsiglia e di Aix-en-Provence. Si attende la decisione di Avignone: dalla sua creazione nel 1947 il festival non è mai stato interrotto e il Ministero della cultura lo ritiene inaffondabile.

Luglio

8. Il Ministro chiede alle parti sociali di rivedere l’accordo: per l’essenziale, propone di differire di qualche mese la sua applicazione. Le organizzazioni firmatarie del protocollo accolgono queste nuove “raccomandazioni”.

9. L’assemblea generale del festival di Avignone vota lo sciopero. Il suo direttore, Bernard Faivre d’Arcier, ne annuncia l’annullamento il 10 luglio. Avignone acquista un aspetto inedito: emozione e gravità si mescolano, si improvvisano forum al Cloitre Saint-Louis, a Saint-Charles, alla Chartreuse, dove il personale e gli artisti invitati si dichiarano in “sciopero attivo”.

11. Dal Lussemburgo, dove si trova, Jean Pierre Raffarin si contenta di annunciare la messa in campo di un “Programma nazionale per la permanenza dei festival” e di un Consiglio nazionale del lavoro culturale.

14. L’intervento televisivo del Capo dello Stato fa propria la posizione del Primo Ministro: ripetendo la solfa della “rifondazione sociale” promossa dal Medef, rivendica la necessità della riforma.

15. Le azioni di protesta si moltiplicano. Gli intermittenti si danno appuntamento al Tour de France e sul palcoscenico di Nice People, intervengono sulla sabbia di Paris-Plage ed occupano diversi Drac, e naturalmente manifestano nei luoghi dei festival. Si contano 650 azioni.

Agosto

6. Malgrado la domanda di ritiro della quasi totalità delle organizzazioni professionali, l’accettazione dell’accordo da parte del Ministero degli affari sociali fissa la posizione del governo.

Settembre

11. Il Coordinamento intermittenti e precari dell’Ile de France pubblica su internet la prima bozza di un protocollo alternativo. Il Nouveau Modèle è sottoposto alle assemblee locali e viene continuamente aggiornato (http://cip-idf.ouvaton.org).

Ottobre

2. Giornata nazionale di azione. Riprendono le mobilitazioni in tutte le città. Fioriscono forme di lotta inedite, tra cui il fortunato “urlo aperitivo” (ci si raduna alle 19.30 sotto le finestre del Sindaco per gridare a squarciagola).

13-18. “Settimana morta della cultura dal vivo”: grande iniziativa di mobilitazione nazionale, comprensiva di quattro giorni di sciopero e innumerevoli azioni di lotta. La più eclatante è l’incursione organizzata il 18 ottobre sul set di Star Academy, un programma in diretta tv su TF1, per leggere un comunicato con le proprie rivendicazioni.

(da Mouvement. Revue indisciplinaire des arts vivants, no.24, settembre-ottobre 2003; con aggiornamenti)

Tratto da Infoxoa 17  rivista di quotidiano movimento – 2003

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