Generic selectors
Exact matches only
Search in title
Search in content
Post Type Selectors
web_comment-cartoon1

Allarme rosso a Gabicce: non si trovano giovani stagionali per lavori sottopagati

di Anonimo

Allarme rosso a Gabicce Mare. No, non è il titolo di un improbabile b-movie italiano degli anni Settanta, ma il senso dell’appello lanciato da Domenico Pascuzzi, sindaco del comune in provincia di Pesaro – Urbino che vive di turismo estivo: «Siamo in emergenza vera», ha detto. Pure qui la fuga dal mare paventata dagli operatori? Macché. Il tema è un altro, più sofisticato. O, se vogliamo, fin troppo semplice: in alberghi e ristoranti mancano i lavoratori stagionali del turismo, da queste parti quasi sempre ragazzi del Mezzogiorno. Che adesso prendono il reddito di cittadinanza.

“Molti giovani del Sud che l’anno scorso avevano fatto la stagione nei nostri alberghi – ha sottolineato il sindaco Pascuzzi intervistato dal Resto del Carlino – quest’anno non sono voluti tornare a Gabicce perché stavano percependo il reddito di cittadinanza. E se accettassero di tornare perderebbero l’assegno da oltre 700 euro che a loro basta per vivere”.

Nell’articolo del Sole 24ore, nulla viene detto a proposito dei livelli salariali degli stagionali. Invece di accusare il reddito di cittadinanza (che non viene comunque erogato a chi si è dimesso volontariamente dal lavoro nei precedenti 12 mesi), la vera questione da sollevare è infatti quella salariale.

Sulla base del livello del Reddito di cittadinanza di 780 euro mensili a persona (se in affitto), alcuni commentatori ostili hanno fatto notare che un numero non piccolo di lavoratori e lavoratrici, inquadrati con contratti di lavoro stabile (non consideriamo il “nero”), già oggi prendono buste paga inferiori. L’Inps e l’Istat convergono nell’affermare che vi sono ben circa 4,2 milioni di persone che ricevono salari più bassi!

Ciò ha allarmato soprattutto le imprese e gli amanti dell’etica del lavoro (dalle associazioni padronali, al Sole 24ore, ai maggiori quotidiani nazionali) denunciando la pericolosità di un tale provvedimento che incentiverebbe l’uso del “divano” e non la partecipazione al mercato del lavoro. Tale dibattito infatti si è incentrato sulla natura da “fannulloni” soprattutto dei giovani e non ha per nulla sfiorato invece il livello indegno dei salari italiani, tra i più bassi d’Europa. Si è preferito guadare al dito, invece che alla luna!

Da qui le preoccupazioni di molte associazioni di categoria che intravedono la difficoltà, d’ora in poi, di reclutare personale con gli “stipendi” di prima. Oltre agli stagionali alberghieri, un esempio lampante è quello dell’apprendistato dove le retribuzioni sono assai basse. Ad esempio, un’apprendista parrucchiere al primo anno, in base ai trattamenti attuali, percepisce circa 825 euro per 40 ore settimanali. E lo stesso può dirsi a maggior ragione in caso di lavori stagionali, part-time, a chiamata, di lavori nell’artigianato, nel commercio o nella ristorazione.

Altre posizioni esposte al rischio “rifiuto” sono le attività agricole stagionali, dove per 180 giornate anno, si arriverebbe, col minimo contrattuale, a 505,05 euro al mese. Poi vanno considerati i part-time: un part-time al 50 per cento, col Ccnl alimentari-industria, di 5° livello, percepirebbe circa 807,41 euro per 20 ore a settimana e un commesso di negozio di 4 livello, nella stessa situazione, non più di 808,34 euro.

Nelle imprese di pulizie e dei servizi integrati si stima un 70 per cento di lavoratori part-time su una platea di 500mila addetti: dai pulitori ai portinai, dagli addetti mensa ai manutentori. Con queste retribuzioni, il percettore di reddito potrebbe essere tentato di dire no ai lavori in questione in caso di trattamento inferiore o equivalente a quello del sussidio. La stessa situazione potrebbe condizionare i Call center e portare conseguenze in attività come quelle delle colf o delle badanti.

Se l’introduzione di un reddito di base e , ancor più, di un salario orario minimo per chi non può usufruire della contrattazione collettiva, consente di esercitare il “rifiuto del lavoro”, ben venga come molla per aumentare da un lato, i livelli salariali dei lavori più umili e alienanti e, dall’altro, consentire un miglior sfruttamento di quelle economie di apprendimento e di rete che sono oggi alla base della crescita della produttività sociale, variabile oggi nevralgica nella competizione globale e che in Italia è particolarmente penalizzata dall’esplosione della precarietà del lavoro e di vita: una precarietà esistenziale che incide negativamente sulla possibilità di aspirare, se sotto ricatto, al “diritto alla scelta del lavoro” e quindi ad una maggiore efficienza della prestazione lavorativa stessa.

Un maggior livello del reddito di base e l’eliminazione il più possibile di ogni forma di condizionalità, utilizzando come fonte di finanziamento un aumento della progressività nel sistema fiscale (in direzione ostinata e contraria alla flat tax), potrebbe essere un insieme di strumenti, tra altri, per rilanciare una politica economica più equa e più efficace.

l rifiuto del lavoro (mal pagato, in nero, sfruttato, ricattabile) è sempre foriero di innovazione, crescita e benessere.

Altri articoli

SEGUICI