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Dal welfare all’’alternativa possibile

di Sandro Gobetti

Dai modelli di welfare e di reddito minimo europei ad una possibile base per costruire una alternativa di società possibile, basata sul reddito garantito e su un idea nuova di lavoro. Senza coercizione, ma per libera scelta. E con il basic incombe è possibile.

In Belgio è chiamato minimax, è un diritto individuale, garantisce un reddito minimo di circa 650 euro a chi non dispone di risorse sufficienti per vivere. Ne può usufruire chiunque, anche chi ha appena smesso di ricevere il sussidio di disoccupazione. In Lussemburgo, il revenue minimum guaranti, è definito legge universale, un riconoscimento individuale “fino al raggiungimento di una migliore condizione personale”. L’importo è di 1.100 euro mensili. In Austria c’è la sozialhilfe, un minimo garantito che viene aggiunto al sostegno per il cibo, il riscaldamento, l’elettricità e l’affitto per la casa. In Norvegia c’è lo Stønad til livsopphold, letteralmente “reddito di esistenza”, erogato a titolo individuale senza condizione di età, con un importo mensile di oltre 500 euro e la copertura delle spese d’alloggio ed elettricità. In Olanda si chiama Beinstand, è un diritto individuale e si accompagna al sostegno all’affitto, ai trasporti per gli studenti, all’accesso alla cultura. Sempre in Olanda c’è il Wik, un reddito di 500 euro destinato agli artisti per “permettergli di avere tempo di fare arte”.

Insomma, senza fare il giro di tutti i paesi europei, è evidente la lontananza italiana da quell’Europa, che ha affrontato il tema della protezione sociale e del reddito garantito.

Sono forme di intervento diversificate tanto che oggi possiamo parlare di 4 diversi modelli: quello centro europeo, che vede paesi come Belgio e Olanda queste misure di reddito minimo presenti già dagli anni settanta del novecento; il modello anglosassone nato dalla war on poverty, quello scandinavo che  prevede un ampio ventaglio di interventi sociali tra i quali il sostegno al reddito è uno dei capisaldi.

Ed infine il modello mediterraneo, che vede l’Italia e la Grecia essere gli unici due paesi in Europa a non avere alcuna forma di reddito minimo. Anche la Spagna ha avviato un dibattito nazionale che và nella direzione di proporre forme di reddito sociale, minimo, di base.

Tutte queste forme di intervento sono condizionate al lavoro ma non sono da confondere con i sussidi di disoccupazione. Infatti il cosiddetto sussidio di disoccupazione viene erogato al momento della perdita del lavoro. Ma una volta finito il periodo di copertura del sussidio e non avendo avuto la possibilità di trovare alcun lavoro, interviene questa forma di reddito minimo, che è un’altra misura, diciamo cosi, aggiuntiva, di ultima istanza, che permette al beneficiario di non rimanere comunque senza protezione economica anche dopo il beneficio del sussidio.

Per non fare la figura degli esterofili, và detto che queste forme di protezione sociale hanno ciascuna delle contraddizioni. Il fatto che molti di questi modelli di welfare si siano trasformati negli ultimi anni in misure di workfare, in cui cioè è forte la condizionatezza, l’obbligo per i beneficiari ad accettare qualsiasi lavoro pena la sospensione del benefit, porta con se alcune conseguenze come quella di nutrire una grossa fascia di lavori a bassa qualificazione. In questo senso, ad esempio in Belgio, si sono definite delle forme di congruità, in cui un beneficiario del reddito minimo può rifiutare il lavoro offerto se non è congruo al suo inquadramento professionale precedente o alla sua formazione; una sorta di riconoscimento delle competenze acquisite che frena il ribasso professionale e salariale che rischia di impoverire nel suo complesso una società. In tutti i casi queste misure sono frutto del means test cioè della “prova della necessità” a ricevere un sostegno al reddito e si è obbligati a cercare lavoro pena la sospensione del beneficio.Il means test altresì rischia di essere una forma di controllo sociale pericolosa perché entra nel merito delle disponibilità economiche di una persone, cioè rischia di produrre una separazione, definendo dunque attraverso una misura di ultima istanza, chi fa parte del ceto dei poveri.

Bisogna però dire, soprattutto se viste da quaggiù, che il sostegno al reddito, le forme di protezione sociale europee, permettono tempi di vita sicuramente diversi e permettono ai cittadini di affrontare la propria quotidianità in modo sicuramente meno pressante e vessatorio.

Per fare qualche confronto con l’Europa svisceriamo un pò di numeri: secondo Eurostat (dati 2005) l’Italia spende per il contrasto alla disoccupazione lo 0,4% del Pil contro una media UE del 2,2% e del 3% della sola Germania;alla voce famiglia e infanzia la media europea è del 2,4 per cento mentre l’Italia è ferma all’1,1 per cento con picchi del 3,4 per cento della Germania e del 2,5 per cento della Francia.

Per i giovani disoccupati con meno di 25 anni il tasso di copertura, di sostegno al reddito, è dello 0,65% italiano contro il 57% del regno Unito, il 53% della Danimarca ed il 51% del Belgio (dati ItaliaLavoro) e questo  malgrado sia aumentata in Italia la zona grigia di chi, tra gli under 25, non cerca più lavoro, non fà formazione, non và più a scuola: oltre 800.000 giovani. Questo dato è aggravato dal fatto che se tra il 1991 e il 1997 la probabilità per un giovane di trovare lavoro a tempo indeterminato era del 40%, oggi si è ridotta al 25%. Vanno segnalate infine le allarmanti previsioni che ci dicono che: “senza interventi sociali in Italia il 42 per cento della popolazione rischia nei prossimi anni la povertà” (Fonte Eurostat 2005).

Le forme di intervento e di sostegno al reddito europee sono quindi una buona base di partenza, anche perché ormai divenute politiche strutturali, per dimostrare la possibilità di costruire misure di intervento sulla garanzia del reddito. Quantomeno infrangono il luogo comune della impossibilità di misure di questo tipo che spesso viene esposta dagli scettici del reddito garantito. Il fatto che moltissimi paesi europei abbiano sperimentato, fino a far diventare strutturali queste misure, dimostra che è possibile individuare misure di questo tipo sia sul piano economico che organizzativo.

Certo, le scelte politiche ed economiche che in molti paesi europei hanno visto il modello di welfare, legarsi sempre di più alla condizionatezza del lavoro, dimostrano, non l’impossibilità di mettere in atto il reddito garantito, ma la testardaggine a considerare ancora il lavoro salariato come perno centrale sul quale tutto ruota. Spostando l’asse verso misure più rigide di workfare, con l’idea che un individuo dunque ha diritto solo di fronte al dovere del lavoro, si è andati a determinare una maggiore precarizzazione del lavoro e a fornire al mondo del lavoro un esercito di nuovi ricattati perché obbligati ad accettare qualsiasi lavoro pur di non perdere il beneficio in futuro. Ormai anche i giovani europei hanno imparato i sotterfugi di farsi assumere in un pub qualsiasi per qualche mese per non perdere il beneficio del sussidio. Un doppio ricatto dunque, quello del beneficio dentro il ricatto del lavoro purchè sia.

Ma questa non è la limitatezza del reddito garantito, è la condizione che impone il modello capitalista in quanto tale che non riesce ad accettare che il tempo liberato dal lavoro formale non è tempo perso, ma tempo produttivo altro, alternativa. Il dibattito dei fautori del reddito garantito, proprio in quei paesi europei che hanno già misure di reddito minimo, ha tentato di rilanciare invece la tesi dell’alternativa, anche di società, che il reddito garantito invece poteva e può produrre a partire dal riconoscimento della cooperazione sociale già essa stessa come momento produttivo. Van Parijs o Guy Standing, per citarne alcuni, propongono da anni un basic income  per tutti come riconoscimento della produzione oltre il lavoro formale e per la creazione di un modello di welfare attivo a partire da una nuova idea di tempo liberato.

E’proprio questa idea di alternativa possibile, a partire dalla riconquista del tempo di vita, dell’attività umana versus lavoro salariato che spaventa i padroni di ieri come quelli di oggi. Ed il reddito garantito, libera questo tempo, ricostruisce l’opportunità del “fare altro” e chissà, forse anche di imporre un’idea nuova di cosa, perché, come, quanto produrre.

Pubblicato su: Loop 2; luglio 2009

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