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Tagli pesanti e privatizzazioni in cambio di un ‘reddito minimo di inserimento’.

di Bz

Riceviamo e volentieri pubblichiamo un articolo in merito alla proposta Giovannini (SIA) sul sussidio contro la povertà. Tratto da Global Project.info

Sicuramente le misure ventilate dal ministro Giovannini sono poco più che un placebo somministrato ad una grave e compromessa situazione economica

Era di questa estate l’annuncio del ministro Giovannini in tandem con Saccomanni, in occasione di un vertice sugli esodati, che si sarebbe introdotto una sorta di reddito minimo garantito anche in Italia, unico paese l’Italia, assieme alla Grecia, a non avere una misura di sostegno al reddito, di questo tipo.

Sabato vi è stato un annuncio più formale, con alcune specificazione che ne definiscono il contesto, molto lontano dal concetto di reddito di cittadinanza, evocato dai movimenti, tutto sbilanciato in funzione lavorista – obbligo di accettazione e prestazione  dell’offerta di lavoro – e di contenimento della povertà per le fasce sociali deboli. Quello che segue è la bozza di intenti che dovrebbe rientrare nella legge di stabilità.

Per le famiglie con figli. L’assegno per le famiglie con figli, minori o maggiorenni, riorganizza in un istituto di sostegno i 17,5 miliardi tradotti finora i detrazioni Irpef e assegni famigliari. La somma, calcolata sull’indicatore Isee, contribuisce al miglioramento del reddito famigliare. Esistono due varianti: la prima elimina del tutto le detrazioni e crea un «assegno per i minori» alle famiglie con under 18 a carico. La seconda si allarga ai nuclei con figli a carico, dopo la maggiore età: resta l’assegno e si “salvano” le detrazioni per coniuge e/o altri parenti da mantenere.

Contrasto alla povertà: reddito minimo e inclusione sociale . Contrasto della povertà con la sinergia di due fronti: reddito minimo di inserimento e piani di inclusione sociali coordinati dai Comuni. I potenziali beneficiari, stimati oltre i 3 milioni, devono stipulare un patto su «buoni comportamenti» da rispettare in caso di finanziamento, come la formazione scolastica dei figli e la ricerca di lavoro con l’iscrizione alle liste di collocamento. Il colloquio, che stabilisce l’idoneità, è preliminare sia al finanziamento (erogato dall’Inps) sia alla ricerca/riqualifica della collocazione lavorativa (gestita dal Comune).
Il reddito minimo di inserimento (Rmi) si apre a tutte le famiglie con un valore di Isee pari o inferiore a 12mila euro e reddito inferiore alle soglia di povertà assoluta. Il contributo, erogato dall’Inps, si calcola nella differenza tra il reddito a disposizione e i margini che stabiliscono l’indigenza totale. Il piano di inclusione sociale consiste in una “regia associata” dei Comuni per favorire l’occupazione ( e quindi l’indipendenza) dei soggetti che ne beneficiano.

Dote di cura per gli over 65. La «dote di cura» si rivolge agli over 65 con problemi, anche parziali, di autosufficienza. La strategia è una mix autonomo di erogazioni e servizi: a seconda del grado di non autosufficienza variano le erogazioni e, in proporzione, i servizi da attivare.

Il cosiddetto «sostegno di inclusione attiva» sarà dunque introdotto con gradualità e prevedrà una integrazione per chi ha un reddito sotto la soglia di povertà che «si riceverà solo a condizione che ci si attivi seriamente a cercare un lavoro, e che, se si hanno figli, si mandino a scuola e si portino ai controlli medici». Ma i sindacati bloccati dai loro interessi di bottega e da una logica ottusamente lavorista, Cisl e Uil hanno già rilasciato interviste contrarie, appaiono lontani da questa misura: prima bisogna trovare i soldi per la cassa integrazione in deroga. Poi ci sarà tempo, finita – quando mai sarà finita?! – la crisi, per discutere le riforme del mercato del lavoro. Probabilmente, il terrore di perdere pacchetti di tessere sindacali fa loro ripetere questa litania, dimenticando il superamento della quota del 40% di disoccupazione nella fascia giovanile, il precipitare del potere d’acquisto di salari e stipendi con il conseguente calo dei consumi, l’allargarsi della forbice delle nuove povertà.

Sicuramente le misure ventilate dal ministro Giovannini sono poco più che un placebo somministrato ad una grave e compromessa situazione economica ma è altrettanto certo che alludono a percorsi d’uscita dalla crisi più aderenti alla realtà di quelli sindacali. Il che ci dovrebbe far capire in che mani siamo messi.

La misura sarà però, per il momento, soltanto avviata e non coprirà quindi chi ne ha bisogno a pieno regime (principalmente perché, manco a dirlo, non ci sono risorse: e anche qui si parla di reperirle grazie a un capitolo specifico della spending review).

Il ministro dell’Economia Fabrizio Saccomanni ha spiegato ieri che «l’unico sistema per liberare risorse da destinare alla riduzione del carico fiscale e agli investimenti è la spending review». Il governo si appresterebbe dunque a un nuovo piano di tagli, con un nuovo Commissario, Carlo Cottarelli, di fresca nomina. Ci si attende non solo la solita «razionalizzazione» (che si traduce in taglio delle prestazioni sociali) ma anche una serie di privatizzazioni e dismissioni di beni pubblici – a partire dagli immobili – il cui piano non potrà essere pronto prima di fine mese: troppo tardi per reperire le risorse necessarie nell’immediato, ad esempio gli 1,6 miliardi per la correzione del deficit.

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