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Reddito minimo, garanzia di libertà

di Laura Boldrini

In Polonia si chiama pomoc spoleczna, in Francia revenue minimum d’insertion. In Italia dovrebbe chiamarsi ‘reddito minimo garantito’. Se ci fosse. Ma non c’è. Il nostro Paese è l’unico, insieme alla Grecia e all’Ungheria, ad ignorare, da circa vent’anni, le raccomandazioni che fin dal 1992 varie istituzioni europee hanno approvato, invitando tutti gli Stati ad introdurre il reddito minimo garantito. Secondo tali disposizioni, ogni cittadino escluso dal mercato del lavoro, o perché non ha potuto accedervi o perché non ha potuto reinserirsi, e che è privo di mezzi di sostentamento, deve poter beneficiare di prestazioni e di risorse sufficienti e adeguate alla propria situazione personale.

Un diritto da osservare assicurando un’integrazione del reddito, che permetta a tutti di condurre un’esistenza libera e tuteli quel rispetto della dignità umana sancito come principio fondante dell’Unione Europea. Ogni paese, in questi decenni, ha stabilito la propria formula, con nomi e importi differenti. La cifra del reddito di cittadinanza varia sensibilmente: da poche decine di euro in Lettonia ad oltre mille euro mensili in Danimarca.

Quando, dopo la laurea, ho vissuto per un periodo in Gran Bretagna, a metà degli anni ’80, mi sono resa conto che nessun giovane si trovava abbandonato a sé stesso. I ragazzi andavano via da casa presto, riuscivano a permettersi il pagamento di un affitto condividendo case con altri, con piccoli lavoretti saltuari e grazie al sussidio, che spettava anche agli stranieri, inclusi gli italiani. Oggi, l’Inghilterra garantisce un sostegno economico assegnato, a partire dai 18 anni, a tutti coloro che non possano assicurarsi una vita dignitosa. Esistono, poi, aiuti specifici per l’affitto, per gli studenti e per i lavoratori part-time.

Ciò che altrove è una realtà consolidata da tempo, in Italia, invece, resta un’utopia. Fino ad oggi, ci si è limitati ai disegni di legge, alle prese di posizione, alle petizioni. Qui, i giovani vengono, a torto, definiti ‘bamboccioni’. Ma, al di là dell’aspetto culturale, lo Stato è parzialmente responsabile della loro difficoltà nel rendersi autonomi dai genitori.

Al posto del reddito minimo garantito, che assicurerebbe sicurezza ed inclusione sociale ai singoli cittadini, qui, infatti, l’unico ammortizzatore sociale resta la famiglia.Negli altri paesi europei, quando finiscono i lavori a tempo determinato interviene il reddito di cittadinanza. E grazie a questo si riduce anche il ricorso al lavoro nero.

In Grecia, la mancanza di tale strumento ha aggravato notevolmente la crisi causata dalle drastiche decisioni di rigore economico imposte dalla Troika, che non ha tenuto conto di questa carenza. Perché in Italia la parola welfare abbia ancora un significato, è doveroso che il nuovo Parlamento approvi una legge sul reddito minimo garantito.

Articolo a firma di Laura Boldrini pubblicato sull’Huffington Post il 22 gennaio 2013.

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