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Reddito minimo garantito: una proposta per l’Europa

di Giuseppe Bronzini

Ricostruita la natura di diritto sociale fondamentale di matrice europeo del reddito minimo garantito, oggetto anche di specifiche policies europee, si propone per renderlo effettivo in paesi che ignorano le indicazioni sovranazionali e per impedire che, sotto l’incalzare della crisi, i paesi che già lo tutelano possano ridimensionarne i contenuti  o condizionarlo eccessivamente  si suggerisce una raccolta di firme -ora prevista dal Trattato di Lisbona- per introdurre una legislazione dell’Unione  obbbligatoria che recepisca quanto deliberato nello scorso Ottobre dal Parlamento europeo. Si ringrazia la rivista alternative per il socialismo.

La dignità della persona umana non è soltanto un diritto fondamentale in sé; ma costruisce la base stessa dei diritti fondamentali”

Spiegazione ufficiale dell’art. 1 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea

La  crisi in corso e la  dimensione sociale dell’Unione

La situazione italiana, unico paese insieme a Grecia ed Ungheria nell’ambito dell’Unione europea, a non avere una schema di reddito mimino garantito (RMG) rappresenta non solo una drammatica emergenza sociale, ma a ben guardare, una emergenza “democratica. Come ha scritto recentemente Marco Revelli: “perchè un paese nel quale una parte consistente della popolazione cessi di considerare diritto pubblicamente garantito la propria aspirazione a una vita degna, finisce inevitabilmente per trasformare il gioco sociale e politico in uno scambio disuguale tra chi è costretto a chiedere “protezione” e chi in cambio pretenderà fedeltà; tra chi in basso sa di dover dipendere dalla disponibilità e chi in alto da di poter contare sulla dedizione altrui” . La situazione è univocamente descritta dai dati che ci offre lo stesso Revelli : nel 2007 l’Italia è stata tra gli ultimi nell’Ue nelle spese destinate a combattere i rischi di social exclusion spendendo circa un decimo di quanto spende la Francia che pur non è tra i paesi più virtuosi. La carenza strutturale delle politiche interne nel combattere la povertà e nel garantire ai cittadini almeno i “minimi vitali” fu già nel 1997 fotografata dalla “Commissione Onofri” e si cercò una prima sperimentazione di “reddito minimo di inserimento”,  poi lasciata decadere, anche per il cambio di maggioranza. Da allora, salvo alcune esperienze regionali, tra cui l’ultima e la più avanzata da parte della Regione Lazio, il governo è passato da una situazione di sostanziale boicottaggio delle indicazioni sopranazionali ad una programmatica politica di ribellione alle stesse compendiata dalla recente affermazione del Ministro Sacconi per cui il governo non “regalerà” mai un reddito a chi non lavora. Proprio nel momento in cui scriviamo, nell’ottica del conservatorismo compassionevole che non prevede che si abbia un “diritto all’esistenza dignitosa” (ius existentiae), con l’ultimo decreto “milleproroghe” si è introdotta un’ulteriore versione della social card, prestazione pari ad euro 1,33 giornaliere a persone in situazioni di indigenza, a mero scopo propagandistico visto che la finalità della norma è quella di reimpiegare i fondi non utilizzati per la  “carta acquisti” nel 2008 e non richiesti dagli aventi diritto viste le enormi difficoltà burocratiche connesse all’erogazione. Nella nuova normativa però i destinatari non sono neppure i soggetti ” poveri”, ma non meglio identificate ” enti caritativi”: un decreto ministeriale  dovrà chiarire il neologismo coniato ad hoc. Insomma il ” pacco di pasta” andrà chiesto in parrocchia (si presume) alimentando quella confusione tra pubblico e privato, tra welfare e paternalismo religioso che sembra essere uno degli obiettivi “ideologici ” dell’attuale maggioranza ; la norma è peraltro incostituzionale perché i beneficiari, nonostante si tratti di bisogni “primari” addirittura a carattere alimentare, sono solo i residenti in città con oltre 250.000 abitanti e perché viola le competenze regionali in materia di assistenza sociale in quanto non si è raggiunto alcun concerto con le Regioni. La situazione italiana è pertanto desolante e, in questa materia, scandalosa. Eppure un intervento sul piano europeo, come si dirà più avanti, finisce con l’interessare anche gli altri paesi che non sono privi di forme di copertura dei “minimi vitali” e quindi coinvolge l'”interesse generale” dell’Unione e dei suoi cittadini.  Non si tratta solo di combattere forme di social dumping come quella praticata sul tema dall’Italia che non accorda ai cittadini lavoratori migranti nel nostro paese prestazioni sociali che invece soccorrono i cittadini italiani negli altri paesi membri, ma di dare una solidità ed una prospettiva anche alle best practises europee. Senza un sostegno, almeno parziale, in risorse sopranazionali e senza un ancoraggio in normative comuni ed obbligatorie è difficile, sotto l’incalzare della crisi ed in mancanza di un effettivo coordinamento da parte degli organi dell’Unione delle risposte nazionali , evitare  una ricorsa al ribasso per contenere i deficit pubblici e l’avvitamento “disciplinare” dei sistemi interni allo scopo, spesso mascherato ideologicamente, di realizzare ulteriori risparmi.

In effetti proprio la crisi economica in corso potrebbe avere degli effetti ” inducenti” rispetto ad un intervento diretto dell’Unione in campo sociale, oltre le fragili linee della soft law implementata attraverso il metodo aperto di coordinamento (MAC).   In un  recente, appassionato, intervento sulla crisi dell’euro, il premio nobel per l’economia Paul Krugman ricorda che “sino a poco tempo fa gli europei sostenevano, in parte giustamente, che la crisi economica ha portato alla luce tutti i vantaggi del loro modello economico e sociale”, caratterizzato dall’esistenza di leggi contro i licenziamenti e “dalla garanzia per chi è rimasto senza lavoro di un minimo di assistenza sanitaria e un reddito di base”. Tuttavia la mancanza di una vera integrazione politico-istituzionale del vecchio continente ha avvitato l’Unione, che ha una moneta, ma non politiche economiche, fiscali e sociali comuni, in un vortice di sacrifici e di ridimensionamento dei bilanci pubblici senza fine e senza speranza perché proprio i tagli, anche in materia sociale, finiscono con il compromettere ulteriormente la già malandata economia continentale e per alimentare i pericoli di social dumping tra stati. Per evitare scenari catastrofici, ammonisce Krugman “servono altri passi verso quella federazione europea invocata da Robert Schuman sessant’anni fa”. Nella lucida lettura oltreoceano dei tormenti attuali degli europei si individuano correttamente le due protezioni che rappresentano il cuore rispettivamente del sistema di tutele “nel contratto” e “nel mercato” nel modello sociale europeo ( a livello di principi); la proposta non è certo quelle di rimuoverle, ma di generalizzarle e di renderle la piattaforma materiale di un’Unione che riprenda con maggiore determinazione il suo cammino federale. Non serve austerity, ma maggiore coesione sociale e regole sopranazionali più salde. Posizioni convergenti contro le timidezze del cosiddetto Berlin consensus ha espresso, sui più importanti media del vecchio continente,  anche Jean Paul Fitoussi  “l’Europa unita sarebbe un meraviglioso e ricco paese, sarebbe alla tavola dei grandi con pieno titolo, avrebbe un posto d’onore. Ed invece è ridotta a mendicare al FMI un’integrazione al suo intervento. Bella lezione di europeismo”. ( ). Vi è in realtà un largo consenso tra gli studiosi che hanno cercato di investigare il nesso tra aspetti economici ed aspetti istituzionali nell’attuale ” calvario europeo” che le radici della crisi monetaria, fiscale ed ormai anche economica, che in modo particolare sta investendo il vecchio continente a partire dall’esplosione del “caso greco”, siano per lo più  extraeconomiche e che vadano ricercate nella mancata intensificazione del processo di integrazione con la predisposizione di politiche economiche e fiscali realmente ” comuni” a sostegno della moneta federale. L’esempio del fallimento del Comune di Los Angeles e le differenze con la gestione del default greco illumina bene il problema.  Insomma quel  che emerge  è una questione di coesione e di solidarietà tra stati e cittadini europei nella piena assunzione di un destino condiviso, che va affrontata, soprattutto, nella sfera ove questi concetti sono nati e si sono sviluppati, quella sociale. Il tema, pertanto, della dimensione sociale dell’Unione, lasciato piuttosto in ombra, a parte la realizzata “costituzionalizzazione”dei diritti sociali fondamentali, anche dal Trattato di Lisbona , sembra prepotentemente rientrato in agenda, mostrandosi ormai la spesa per stringere la coesione tra paesi membri e per la costruzione di una visibile solidarietà paneuropea come un formidabile investimento anche di tipo economico, per i suoi riflessi immediati sulla tenuta dell’intero sistema.

Il reddito minimo garantito, assurto ormai al rango di fundamental right  sovranazionale e recepito nei principi comuni di flexicurity e conseguentemente incardinato nella policies dell’Unione in materia di occupazione e di lotta all’esclusione sociale investire così due piani che dovrebbero tra loro convergere: quello dell’adeguamento interno alle indicazioni di fonte europea, platealmente sin qui disattese, e quello della costruzione di una rete di protezione comune sotto la responsabilità e, forse, con il contributo finanziario diretto dell’Unione nel contesto del superamento dell’attuale difficile fase di transizione, che per la sua urgenza e drammaticità ha già implicato una revisione del Trattato di Lisbona appena ratificato.

 

Il diritto al reddito garantito come diritto costituzionale di matrice europea

Verso la fine degli anni 80  e nei primi anni 90 l’attenzione degli studiosi di politiche sociali è stata notoriamente  catturata dall’emergere di una disoccupazione di massa e dal progressivo indebolimento del sistema di garanzie costruito attorno alla figura del lavoratore subordinato, full time, a tempo indeterminato e in grande aziende, destinato nella stragrande maggioranza dei casi a svolgere mansioni similari nel corso della propria “carriera”, spesso per il medesimo datore di lavoro ( ).  Un fortunatissimo volume di Jeremy Rifkin ha poi volgarizzato l’inedita situazione con la formula della “fine del lavoro” ( ). In questo contesto l’introduzione di un basic income sganciato dalla prestazione lavorativa o anche di un reddito sociale minimo per disoccupati di lungo periodo è stata prospettata come una delle opzioni in campo per fronteggiare le patologie di una società che sembrava ormai dover perdere le certezze del pieno impiego, insieme alla riduzione generalizzata dell’orario di lavoro e alla politica dei cosiddetti ” lavori socialmente utili”. Si tratta di un dibattito che oggi non vogliamo ripercorre perché piuttosto datato, troppo astratto ed  intriso, talvolta, di cattiva ideologia; le fazioni in campo più che cercare un terreno comune di confronto si sono in realtà scomunicate vicendevolmente: i teorici del reddito sono stati spesso indicati come conniventi con le ideologie liberiste che vorrebbero disfare le architetture garantiste edificate nei “trenta gloriosi, lo ius vitae indicato il tipico esempio di un conservatorismo compassionevole, che- mentre libera il capitalismo globale dai lacci e  laccioli del diritto del lavoro- mantiene in vita individui ormai privati della dignità che proviene dallo svolgere un’attività utile alla collettività ( ).  Non sono peraltro mancati epocali cambiamenti di fronte come nel caso del sociologo francese André Gorz, passato da una rigida e moralistica contrapposizione all’idea del basic income  ( ) ad una sua esaltazione ( ), a tratti persino imbarazzante, come principale leva per recuperare una dimensione, quasi pre-industriale, di empatia fraterna nei rapporti sociali. Per contro l’idea di una liquidazione del “lavoro” e di una frontiera garantista in campo sociale che possa semplicemente ignorare la dimensione del contratto di lavoro e delle relazioni sindacali, spesso sostenuta acriticamente sull’altra sponda, appare oggi altrettanto aprioristica. La valorizzazione del capitale umano come bene pubblico ci appare oggi come un tema da non mettere tra parentesi  Questo confronto è bene prosegua con una maggiore aderenza ai caratteri che effettivamente connotano oggi le società contemporanee, dopo le asprezze e le ambivalenze del passaggio al terzo millennio. Nozioni come quelle di rapporti produttivi, lavoro, capitale, general intellect etc. necessitano di un approfondimento radicale che solo la dimensione collettiva della con-ricerca, oltre gli steccati ideologici legati alle contingenze politiche, consente, ma solo in una dimensione certamente non di breve periodo.

Percorreremo quindi in queste brevi note un’altra strada; quella della dimensione già ampiamente consolidata in Europa, ma non solo , della costituzionalizzazione dello ius existenatiae ( nel suo legame anche con le Costituzioni nazionali e con le tendenze giurisprudenziali delle Corti supreme interne ed europee), convinti che la formazione di una higher law  sul punto offra, come dimostrano proprio la recenti Risoluzioni del parlamento europeo una solida  e condivisa  base  per rilanciare il progetto di un’Europa sociale, una sorta – per dirla per John Rawls ” consenso per intersezione” già disponibile per le  varie opzioni teoriche in campo. .

Il diritto al reddito garantito va considerato ormai un fundamental right   di matrice europea  (oltre che una policy sovranazionale) riconosciuto dall’art. 34 terzo comma della Carta di Nizza come diritto sia del cittadino europeo che del residente stabile nel territorio dell’Unione all’ “assistenza sociale ed abitativa volta a garantire un’esistenza dignitosa per coloro che non dispongono di risorse sufficienti”; la norma, sebbene espressivamente  poco felice, sancisce comunque chiaramente lo ius existentae subordinandolo esclusivamente al test del bisogno, ma non ad ulteriori presupposti. La disposizione infatti, per quel che riguarda l’UE, ha un precedente  nelle prescrizioni della Carta dei diritti dei lavoratori  comunitari del 1989, ma- a parte il carattere non vincolante di tale Documento- malamente coordinato all’ ex art. 136  TCE con l’ordinamento comunitario-  non  ha più come referente ” il lavoratore”, ma invece la persona in quanto tale e quindi formalizza nel più alto e più aggiornato Elenco continentale sui diritti fondamentali l’esito di  quel processo di ” costituzionalizzazione” della persona nei suoi bisogni e aspetti cruciali  di cui ha spesso parlato Stefano Rodotà. La Carta ha, con l’entrata in vigore del Lisbon Treaty, acquisito finalmente valore obbligatorio e le sue norme,  avendo conseguito lo ” stesso valore giuridico” di quelle dei Trattati, presentano la massima ” forza” attribuibile ad un atto nell’ambito dell’Unione europea .

Persino l’Europa a 47, il Consiglio d’Europa, lo considera un diritto all’art. 30 della Carta sociale europea  che così recita:”Diritto alla protezione contro la povertà e l’emarginazione sociale. Per assicurare l’effettivo esercizio del diritto alla protezione contro la povertà e l’emarginazione sociale le Parti si impegnano: a) prendere misure nell’ambito di un approccio globale e coordinato per promuovere l’effettivo accesso al lavoro, all’abitazione alla formazione professionale, all’insegnamento, alla cultura, all’assistenza sociale e medica delle persone che si trovano o rischiano di trovarsi in situazione di emergenza sociale o di povertà e delle loro famiglie.”

L’altro macrovento che ci consente di affermare che lo ius ad vitam  sia entrato stabilmente ed irreversibilmente nel patrimonio dei fundamental rights degli ” europei” è connesso alla giurisprudenza costituzionale tedesca che per la sua autorevolezza non può che rifluire sulle stesse nozioni europee.

Il Tribunale costituzionale tedesco il 9.2.2010 ha, infatti, dichiarato il cosiddetto ” sistema Hartz IV“- che raggruppa gli aiuti sociali e gli assegni di disoccupazione voluto dal Cancelliere Schröder nel 2005 – in parte incostituzionale in quanto il sistema di sussidi previsti viola  l’art. 1 e l’art. 20 della Costituzione tedesca, che recitano -rispettivamente- ” La dignità dell’uomo è intangibile” e “” La repubblica tedesca è uno stato federale democratico e sociale” , letti in connessione  tra loro. Come noto la higher law tedesca  non contempla un elenco specifico di diritti di natura sociale ( come la nostra) , ma li riassume nella “clausola di socialità” dell’art. 20, sicché la Corte ha in sostanza stabilito le conseguenze, in materia sociale, del principio di intangibilità della dignità personale.

Si è stabilito che il livello di sussidi per persone impiegabili pari a 359 euro mensili e quelli stanziati per gli altri partecipanti al nucleo familiare ( che possono arrivare anche ad 800 euro)  sono troppo bassi o comunque non determinati sulla base di parametri affidabili , essendo le prestazioni  state ridotte nel 2005 per indurre i disoccupati a trovare ad ogni costo un lavoro.

La Corte afferma ( nella traduzione in inglese ” ufficiale” delle ragioni della decisione  leggibile  in http://www.bundesverfassungsgericht.de/pressemitteilungen/bvg10-005en.html) che ” the fundamental right to guarantee a subsistence minimum that is in line with human dignity, which follows from art. 1.1 GG ( Costituzione tedesca) in conjunction with the principle of the social state under Article 20 .1 GG, ensures every needy person the material condition that are indispensable for his of her psysical existence and for a minimum participation in social, cultural and political life. Beside the right from the Article 1.1. GG to respect the dignity of every individual, which has an absolute effect, this fundamental right from article 1.1.GG has, in its connection with the Article 20 .1 GG, an autonomous significance as a guarantee right. This right in not subject to the legislature’s disposal and must be honoured; is must , however be lent concrete shape, and be regularly updated by the legislature”.  E più avanti ” In order to lend the claim concrete shape, the legislature has to assess all expenditure that is necessary for one’s existence consistently in a transparent ad appropriate procedure according to the actual need, i. e in line with reality”.

Insomma il supremo organo giurisdizionale tedesco afferma con grande limpidità che la garanzia di un minimo vitale  è un diritto incomprimibile della persona e che lo stato “deve trovare i mezzi necessari per tutelarlo nella realtà e in tutte le sue connotazioni  “sociali, culturali e politiche”. Il reddito garantito è un diritto fondamentale la cui erogazione ha carattere necessario perché volto a salvaguardare la dignità essenziale delle persone, ma proprio questo nesso impone che la sua misura sia ” adeguata” perché non si tratta di un mero aiuto ai ” poveri”, ma della protezione delle ” basi” della legittima aspettativa di ognuno a partecipare  con pienezza alla vita di una data comunità.

Inoltre con certezza il diritto ad un reddito minimo garantito (RMG) è una policy europea.  Nelle procedure del metodo aperto di coordinamento sin dal 2000, anno di lancio della Strategia di Lisbona, sono state privilegiate quelle esperienze soprattutto scandinave (ma non solo) che hanno compiuto il salto in un sistema di flexicurity nel quale la garanzia di un basic income (nella duplice forma dell’assicurazione per tutti dei mezzi necessari ad una esistenza libera e dignitosa e di sostegno  al reddito tra un impiego ed un altro) è uno dei pilastri del rinnovamento e dell’universalizzazione degli apparati del welfare state ( ).

Questo lento e non sempre lineare processo ha subito una improvvisa e drastica accelerazione dopo l’elaborazione del tanto discusso Green paper (del 2006) sulla modernizzazione del diritto del lavoro che ha provocato una straordinaria partecipazione (in genere con accenti critici) della società civile europea che da un lato è riuscita a mettere la sordina alle proposte più discutibili dell’originario testo e dall’altro ha portato finalmente nel Dicembre  del 2007 all’approvazione unanime di alcuni principi comuni di flexicurity che contemplano il basic income nei modi prima accennati ( ). Da quella data le politiche dell’occupazione dei singoli stati (che vengono coordinate a livello europeo) dovranno indicare in che modo rispettano i principi comuni e comunque quali siano i percorsi che stanno seguendo per valorizzarli ( ). Con il varo della strategia ” 20.20″ nel 2010 che ha sostituito la Lisbon agenda si è introdotto il nuovo obiettivo della riduzione del tasso di povertà del 20% , il che ovviamente è impossibile senza schemi di reddito minimo.

Garantire il reddito, tutelare  il lavoro

Vi sono però vistosi limiti delle politiche europee se si passa alla dimensione dell’effettività dello ius existentiae, soprattutto per paesi come il nostro ribelli alle indicazioni europee.

La norma della Carta di Nizza  è difficilmente  giustiziabile se alla nota assenza di una normativa dell’Unione si aggiunge, come nel caso dell’Italia, quella di una qualsiasi legislazione interna. Inoltre le indicazioni dell’open method of coordination non hanno natura vincolante; benché due raccomandazioni, la prima addirittura del 1992 e la seconda del 2008 stigmatizzino gli stati che non hanno ancora adottato schemi di RMG (o concedono prestazioni insufficienti), le stesse sono prive di sanzioni efficaci.

Infine non sempre si sono seguite strade che consentano di saldare razionalmente la garanzia del diritto come fundamental right , diretto quindi prioritariamente  a salvaguardare la dignità delle persone e le cosiddette politiche attive del lavoro, mal interpretate in alcuni documenti comunitari ed interni, che invece  talvolta concepiscono la misura in modo strumentale alla realizzazione di obiettivi occupazionali, come un mero ammortizzatore sociale e come una spinta al reimpiego anche forzato del lavoratore in temporanea difficoltà attraverso dispositivi di controllo e pressione che con Michel Foucault possiamo definire di tipo “governamentale” ( ).  L’idea di politiche attive del lavoro in sé non obbliga affatto a queste misure (che possono essere lesive della dignità del soggetto che si vorrebbe tutelare), ma semmai solo ad accompagnare la tutela del reddito “di base” con la formazione permanente e continua e con l’accesso a funzionanti servizi pubblici e di interesse generale, che del resto sono altri diritti fondamentali protetti dalla Carta di Nizza. Insomma se si può accettare in via pragmatica che il RMG sia condizionato dal test del “bisogno” è da respingere che questa prestazione, che è connessa per natura anche all’idea di piena cittadinanza sociale, possa rappresentare un’arma di ricatto disciplinare che raddoppierebbe, a livello di welfare state, le costrizioni  del mercato del lavoro; non uno strumento di tutela della libertà del cittadino, ma un’invasione delle ragioni dell’integrazione sistemica nella sfera dell’integrazione sociale. Va ricordato sul punto che la legge della  Regione Lazio sul RMG aveva trovato un ragionevole e credibile compromesso stabilendo  la revoca del diritto solo in caso di rifiuto di un’occasione di lavoro ” congrua” cioè coerente con il bagaglio professionale e gli studi svolti .

In questo quadro la recente Risoluzione del Parlamento europeo dell’Ottobre del 2010 ha apportato chiarimenti importanti sull’entità e sulle caratteristiche del diritto:  si è ricordato che “la dignità è un principio fondante dell’Unione europea”, e che si tratta di garantire ad ogni cittadino la sua “possibilità di partecipare pienamente alla vita sociale, culturale e politica”. Pertanto le misure concesse degli Stati devono essere “adeguate” e giustificate secondo indicatori “affidabili e pertinenti” e dovrebbero essere parametrate sul 60% delle retribuzioni da lavoro “mediane” del singolo stato; si è aggiunto che le politiche in corso di aggiustamento dei conti pubblici non possono pregiudicare il diritto in questione (è evidente l’influenza dei principi affermati nella sentenza del 9.2.2010 dal supremo organo giurisdizionale tedesco). Infine specificamente si invita la Commissione e Stati membri “ad esaminare in che modo i diversi modelli non condizionali e preclusivi della povertà per tutti, possano contribuire all’inclusione sociale, culturale e politica, tenuto conto in particolare del loro carattere non stigmatizzante”. La Risoluzione insiste peraltro moltissimo sulle fonti internazionali e su quelle interne che configurano il RMG come un diritto sociale fondamentale.

Una proposta ed un progetto per l’Europa

Il lato negativo della Risoluzione riguarda, invece, gli strumenti per attuare il diritto, volendosi ora prescindere dall’azionabilità in via giudiziaria dell’art. 34 della Carta di Nizza.

La Risoluzione continua a puntare sull’open method of coordination e sulla direttrice della Strategia 20-20 che ora contempla l’obiettivo esplicito di ridurre il tasso di povertà in Ue del 20%, il che- aggiunge la stessa Risoluzione- è impossibile senza misure generalizzate e adeguate di tutela di un reddito minimo( ). Certamente la Risoluzione richiede una incisività maggiore nei meccanismi di governance europea, ed una stigmatizzazione più forte dei paesi ribelli alle indicazioni sovranazionali, invitando la Commissione ad adottare una iniziativa su larga scala sul tema  (cfr. i punti 33-36 della Risoluzione). Per soli due voti non è prevalso  l’orientamento di gruppi consistenti del Parlamento europeo ( PSE, GUE, Verdi)  verso l’ipotesi di una “direttiva quadro”, elemento certamente positivo perché manifesta l’intenzione ormai diffusa di giocare una carta “europea” per una gestione più equa ed equilibrata delle risposte alla crisi e di voler quindi abbandonare le logiche di mera difesa nazionalistica dei sistemi di sicurezza sociale interni, troppo spesso agite in questi anni. Una Risoluzione, quindi, coraggiosa sul piano ideale, ma ancora timida sul piano politico-istituzionale.

Per rilanciare la sfida e vincere le resistenze in campo, forse, sarà necessario che si pronunci direttamente la sfera pubblica. Il Trattato di Lisbona ha introdotto, sul punto, novità assai rilevanti: il cittadino europeo non dovrà più aspettare che i leader  del vecchio continente ( ) si convincano a fare davvero l’interesse complessivo e convergente del demos europeo; potrà finalmente richiedere un intervento legislativo dell’U.E. su singole issues attraverso una raccolta di firme a livello continentale ( art. 11 TUE). Nel febbraio del 2011 è stato pubblicato il Regolamento che disciplina la raccolta di firme secondo modalità piuttosto ragionevoli ( un milione di firme in almeno sei stati) e non eccessivamente rigide; gli Stati hanno 11 mesi per adottare legislazioni interne sul punto, ma  Marzo del 2012 il nuovo e rivoluzionario diritto di iniziativa dei cittadini europei sarà operativo. Se davvero si saprà raccogliere questa preziosa conquista democratica ( ) che la seconda Convenzione aveva elaborato in un’ottica di avanzamento verso la costituzionalizzazione dell’U.E. e che gli Stati con l’accordo che ha sancito il Lisbon Treaty non si sono sentiti di abbandonare, con una convincente e coordinata campagna ” dal basso” ( per una cittadinanza di residenza, per un reddito minimo garantito, per la libertà di accesso ai beni comuni, per la libertà di informazione, per la gratuità ed apertura di Internet, per una Tobin tax europea, per il ricorso diretto alla Corte di giustizia per la violazione dei diritti fondamentali etc. etc.),  allora per la solidarietà europea e per le ragioni di una piena, innovativa e  socialmente ” esigente” cittadinanza sovranazionale i tempi si faranno finalmente maturi ( ).

Giuseppe Bronzini


M. Revelli, ” Poveri noi”, Einaudi , Torino, 2010 p. 127

Cfr. anche la Relazione sulla povertà e l’esclusione sociale per il 2010 del Comitato interparlamentare presieduto da Marco Revelli, leggibile in www. bin-italia.org

cfr. ” La riforma del welfare. Dieci anni dopo la Commissione Onofri”, a cura di L. Guerzoni, Il Mulino, Bologna, 2008

T. Boeri” Welfare. L’inganno della carità”, in La Repubblica 23.2.2011; C. Saraceno” Un sistema paternalistico e datato non aiuta chi ha devvero bisogno”, La Repubblica 18.2.2011

P. Krugman ” Salviamo l’Europa”, in Internazionale, 28.1.2011.La versione in inglese è invece uscita sul New York Times

J.P.Fitoussi ” La riforma non basta all’Europa serve un governo unico federale” La Repubblica, 1.9.2010

Sulla dimensione sociale del nuovo Trattato v. G: Bronzini ” Il modello sociale europeo”, in ( a cura di F. Bassanini, G. Tiberi) ” Le nuove istituzioni europee. Commentario al Trattato di Lisbona, nuova edizione”,Bologna, Il Mulino, 2010

cfr. M. D’Antona ” Le metamorfosi della subordinazione” in ( a cura di F. Amato e G. Bronzini), “A 25 anni dallo Statuto dei lavoratori: quale futuro per il diritto del lavoro?”, Quaderno n. 1, 1996, Rivista critica di diritto del lavoro

J. Rifkin ” La fine del lavoro”, Milano, Bollati Boringhieri,1996

V. G. Aznar ” Lavorare meno, lavorare tutti”, Torino, Bollati Boringhieri, 1993, A. Gorz ” Metamorfosi del lavoro”, Torino, Bollati Boringhieri, 1992;  G. Mazzetti “Quel pane da spartire”, Torino, Bollati Boringhieri, 1997, G. Lunghini ” L’età dello spreco”, Torino, Bollati Boringhieri, 1995, M. Revelli ” Economia e modello sociale nel passaggio tra fordismo e post-fordismo”, in ( a cura di P. Ingrao e R. Rossanda), ” Appuntamenti di fine secolo”, Roma, Manifestolibri, 1995; P. Van Parijs “Au delà de la solidarieté. Les fondaments èthiques de l’etat-providence e de son dépasssement “, in Futuribles, n. 184/1994; A. Fumagalli ” Salario sociale e riduzione dell’orario di lavoro. Alcune riflessioni.”, in AAVV. ” Il giusto lavoro per un mondo giusto”, Milano, Punto rosso, 1995, L. Ferrajoli ” Il futuro dello stato sociale e il reddito garantito “, in AAVV. “Ai confini dello stato sociale”, Roma, Manifestolibri, 1995

cfr. A. Gorz ” Società, comunità e reddito di base”, in AAVV. ” Ai confini dello stato sociale”, cit.

A. Gorz “Miserie del presente, ricchezza del possibile”,Roma manifestolibri, 1998.

Per l’attualizzazione degli argomenti a favore del basic income cfr. Basic income network italia ( a cura di) ” Un reddito per tutti. Un’utopia concreta per l’era globale”, Roma , manifestolibri, 2009. Per un esempio di convergenza pragmatica sul RMG cfr. il Forum su “Il diritto al reddito garantito: verso un nuovo welfare?”, in Questione giustizia n. 4 /2010 a cura di S. Mattone con G. Bronzini, A. Fumagalli, L. Gallino e M. Roccella

cfr. la dichiarazione di Monterry del 2007 in cui numerosi  paesi sudamericani hanno comunemente incluso il RMG tra i ” diritti umani emergenti”. V. D. Raventos “Sessant’anni di diritti umani e uno dalla Carta di Monterrey”, in BIN-Italia, a cura di, ” Un reddito per tutti. Un’utopia per l’era globale” cit. pag. 231 ss. Il Brasile vivono 31 milioni di persone con la bolsa social

G. Bronzini “Il diritto al reddito garantito come diritto fondamentale europeo” ibidem pag. 246 ss.

G. Bronzini “La Carta di Nizza dopo Lisbona: quale ordine costituzionale per la protezione multilivello dei diritti fondamentali ?”, in E. Falletti e V. Piccone” L’integrazione attraverso i diritti. L’europa dopo Lisbona”, Roma, Aracne, 2010

cfr. G. Bronzini ” The social dilemma of european integration” in Law Critique, n. 19/2008

Nel documento sui principi comuni si legge “La flexicurity dovrebbe promuovere mercati del lavoro aperti reattivi ed inclusivi, superando la segmentazione.  essa riguarda sia gli occupati che gli inoccupati. Le persone inattive, i disoccupati, i lavoratori irregolari, i precari o quanti si trovano ai margini del mercato del lavoro hanno bisogno di vedersi offrire migliori opportunità, incentivi economici e misure di sostegno per un più facile accesso al lavoro e di supporti per essere aiutati a progredire verso un’occupazione stabile e giuridicamente sicura”. Ed ancora ” Si deve incoraggiare la mobilità ascendente come anche quella tra disoccupazione o inattività al lavoro.. La protezione sociale dovrebbe offrire incentivi e sostenere le transizioni da un lavoro all’altro e l’accesso a nuovi impieghi”. Cfr. G. Bronzini ” Lavoro e tutela dei diritti fondamentali nelle politiche europee del ” dopo Lisbona”, in Politica del diritto, n. 1/2008

V. “Flexicurity e tutele ” (a cura di L. Zoppoli e M. Delfino), Roma, Ediesse, 2008, S. Sciarra “Is flexicurity a European policy? ” e  D. Gottardi “I diritti sociali dalla prospettiva del Parlamento europeo, alcune sfaccettature della mobilità”, in ” Le scommesse dell’Europa. Diritti, istituzioni e politiche” (a cura di G. Bronzini, F. Guarriello, V. Piccone), Roma, Ediesse, 2009

La Risoluzione in materia di  lotta all’esclusione sociale del Parlamento europeo del maggio del 2009 è molto drastica in tal senso: le misure di sostegno al reddito non debbono essere trasformate in misure di coercizione  verso occupazioni che peraltro in questa fase di crisi non sono neppure disponibili che possano  mortificare le aspettative individuali e il bagaglio professionale dei soggetti.

Per una riflessione collettiva sulla legge laziale cfr. ” riflessioni sulla legge del Lazio” a cura del Bin-Italia, scaricabile dal sito www.bin-italia.org

cfr. G.Bronzini e S. Giubboni “La nuova agenda europea in materia sociale ed il metodo aperto di coordinamento”, in Arel n. 4/2010i

Contro i quali ironizza C. Kupchan in ” Vecchia Europa il tuo tempo è finito”, in Il sole24ore 1.9.2010

A breve dovrebbe essere approvato il Regolamento per attivare in concreto la raccolta di firme

Cfr. G. Allegri ” La partecipazione democratica dopo Lisbona”, in www.europeanrights.eu, Marzo 2010; per un ragionamento complessivo sulla mobilitazione dal basso per un’altra Europa che sappia sfruttare tutte le potenzialità del Lisbon Treaty cfr. i saggi raccolti nel volume ( a cura di N. Valinoto e .S.Vannuccini) ” Europa 2.0 prospettive ed evoluzioni del sogno europeo”, Verona, Ombre Corte, 2010.

Tratto da Alternative per il socialismo n.16/2011, aprile 2011

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