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Reddito minimo di cittadinanza, l’intervento di Di Giovan Paolo al Senato

di Roberto Di Giovan Paolo

Pubblichiamo la trascrizione e dell’intervento del Senatore Di Giovan Paolo sul reddito minimo di cittadinanza durante la seduta in aula del 29/05/2012. Legislatura 16ª – Aula – Resoconto stenografico della seduta n. 732 del 29/05/2012 Seguito della discussione del disegno di legge: Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita

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PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Di Giovan Paolo. Ne ha facoltà.

DI GIOVAN PAOLO (PD). Signora Presidente, colleghi, rappresentanti del Governo, intanto approfitto dell’occasione per ringraziare del lavoro svolto. Molto spesso questo non viene fatto nelle nostre Aule. Ho visto, come tutti i nostri colleghi, il disegno di legge iniziale, che era un tentativo di rispondere ai temi del lavoro; il testo finale, dopo il lavoro svolto in Commissione, non è lo stesso. Tutti hanno rinunciato a qualcosa, tutti hanno cercato di metterci del loro.

Credo sia giusto ricordare la frase, ormai storica, utilizzata nelle elezioni francesi: nessuno ha «il monopolio del cuore»; è evidente che anche in queste Aule vi è attenzione a quanto accade nel Paese, a differenza di quello che si scrive molto spesso sui giornali. Ed è evidente che il tentativo fatto è generoso, tenendo conto dei problemi esistenti. Ognuno di noi, e non solamente la Lega, potrebbe citare i problemi del proprio territorio; ognuno di noi ha le sue fabbriche e le sue aziende in difficoltà; ognuno di noi conosce il problema dei giovani e legge i dati dell’ISTAT.

Per questo motivo, vorrei utilizzare in maniera concreta, credendo nello strumento parlamentare, il tempo a disposizione per parlare a futura memoria. Vorrei infatti soffermarmi su un aspetto solo, che purtroppo nel disegno di legge non c’è ma che io credo faccia invece parte delle politiche del lavoro di un Paese che può guardare al futuro: il reddito minimo di cittadinanza.

Comprendo benissimo, essendo un parlamentare e agendo in questa veste, non facendo finta di essere un cittadino qualunque al di fuori di queste istituzioni, che ci sono compatibilità economiche e difficoltà. So benissimo che questo è il motivo per cui si è scelto di non affrontare anche questo tema, ma comunque apprezzo che all’interno del disegno di legge, sia nella prima versione che in quella finale, ci sia una tendenza verso un ragionamento di copertura universalistica, che non può essere negato. La politica è un processo, e quindi è giusto che sia costruito nel tempo.

Ma su alcuni aspetti spero che i tempi siano accorciati. Vorrei utilizzare il tempo a disposizione per spiegare che non di un’utopia stiamo parlando, ma di una possibilità che si offre al Paese in un prossimo futuro, in una situazione leggermente cambiata anche grazie a questi provvedimenti. Non a caso, il disegno di legge di cui sono primo firmatario reca: “Misure per l’istituzione del reddito minimo di cittadinanza”, non parla di salario minimo o di salario minimo garantito. Altrimenti, a mio avviso, parleremmo di cosa del secolo scorso, a cui pure sono legato per nascita. Ma è evidente che io parlo dopo che l’Unione europea ed il Parlamento europeo hanno anche votato un documento che riguarda il reddito minimo di cittadinanza, che pone su basi diverse la questione, cioè sulla base dello ius existentiae, di una garanzia cioé da dare ad ogni cittadino, e non solamente a chi ha incontrato il mondo del lavoro. È questo il riferimento che voglio fare. Non ne faccio una colpa a questo Governo o ai relatori. Sappiamo benissimo che non esistono soltanto quelli che hanno toccato il mondo del lavoro, ma anche alcune categorie di cittadini che nel mondo del lavoro ancora non sono entrate e che quindi non potranno usufruire di coperture assistenziali o, meglio sarebbe, di una welfare community, non più assistenziale come nel secolo scorso.

Uno dei primi punti del reddito minimo di cittadinanza è quello di non volere essere una misura assistenziale. Ho letto alcune interviste del collega Castro (che apprezzo, e lui lo sa) e so che dietro la sua preoccupazione rispetto a questo tema c’è il timore legato al rischio di creare una trappola – così si dice spesso – soprattutto per i giovani, ma anche per le donne che si sono dedicate alla cura della famiglia che vorrebbero utilizzare il loro diploma o la loro laurea. Penso a coloro che, tutto sommato, in una situazione come quella attuale non sono ancora coperti.

Credo che questa preoccupazione sia giusta. È giusto non creare un sistema, uno strumento assistenziale, ma, appunto per questo, sarebbe anche opportuno, sulla base della sperimentazione fatta nel 2007 dal Governo Prodi, non ricreare le condizioni in alcune aree del nostro Paese perché ci si affidi a questa misura, come succedeva negli anni in cui la Thatcher cancellò questa misura in Gran Bretagna, come a semplici misure assistenziali senza prestare alcuna attenzione alla propria formazione o alla propria crescita professionale.

Pensate al caso concreto, per esempio, di chi, sottoposto alla cassa integrazione in un’azienda decotta, sia consapevole di ciò e del fatto che quella rappresenta una mera misura di sopravvivenza. Non sarebbe meglio per lui avere un reddito minimo di cittadinanza con il quale ridefinire la propria formazione, attraverso cui cercare un sistema per costruire le condizioni di un altro modo di lavorare, di un altro lavoro, o di un lavoro autonomo rispetto a quello dipendente? Oppure, permettere a coloro che percepissero un reddito minimo di cittadinanza di poterlo mettere insieme per creare la base di piccole start up, di piccole aziende, di piccoli nuclei di lavoro per il futuro?

Credo che con un po’ di fantasia potremmo evitare questa trappola e – aggiungo – dovrebbe essere anche una misura da Stato federale, e non solamente dello Stato nazionale. Lo Stato nazionale, nell’ipotesi che abbiamo fatto, mette il fondo iniziale e, assieme alle Regioni, costruisce le condizioni perché questa misura venga implementata, non solo economicamente, ma anche attraverso un controllo certo, per cui, se nel primo o nel secondo anno si può rientrare nelle categorie di coloro che percepiscono il reddito minimo di cittadinanza, questo non può più avvenire nel terzo o nel quarto anno, perché in questa graduatoria possibile si scala. Il reddito minimo di cittadinanza inoltre è un’idea finalizzata non solo a dare un aiuto a chi lo percepisce, ma anche ad offrire la possibilità di rimettere in circolo quel denaro, di poter investire, di fare un minimo di spesa, di costruire.

Pensate ad una coppia giovane formata da persone laureate. Ebbene, con un reddito minimo di cittadinanza potrebbero scegliere di vivere insieme, di costruire un inizio di vita che, evidentemente, non può protrarsi per il resto della vita. È una misura temporanea di aiuto che deve essere di incentivo, non un incentivo a rimanere fermi, dunque, ma a cercare la formazione, le proposte di lavoro. Coordinata con una riforma della proposta di lavoro può davvero rappresentare un incentivo a cambiare il proprio status e la propria condizione.

Dico questo perché non basta appellarsi all’articolo 34 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Lo capisco, anche se in essa è istituito un riferimento a ciò, anche se la scelta fatta dalla risoluzione approvata dal Parlamento europeo ha intenti propositivi, incentivanti rispetto al lavoro e non semplicemente di garanzia di misure assistenziali.

Questa iniziativa, come sapete, esiste in Europa, in tutta Europa meno che in Italia, Grecia e Ungheria. Capisco bene, comprendo benissimo che per il disegno di legge potrebbe non essere, non è, né è stato il momento opportuno, perché c’è bisogno di coperture forti, di coperture economiche importanti. Penso, però, anche a tutti i tipi di incentivo, di aiuti, di assistenza e di welfare antico che esistono in tutte le nostre Regioni. «Il Sole 24 ORE» di recente è tornato sull’argomento ricordando che sono quasi 200 le coperture date ad ogni livello, anche regionale. Per questo ho parlato di integrazione federale tra lo Stato nazionale e le Regioni, perché auspico che con il reddito minimo di cittadinanza possano sostituirsi una serie di misure che non aiutano e che, anzi, corrono il rischio di essere concesse alle stesse persone. A mio avviso, e concludo, credo che faccia parte – lo dico a futura memoria – dei compiti di uno Stato che si rimette in cammino immaginare anche tale possibilità. Questa possibilità del reddito minimo di cittadinanza è ancora un’utopia, non perché non sia possibile ma solo perché non è stata tentata.

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