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Reddito garantito: quel qualcosa che manca …

di Consiglio Direttivo BIN Italia

Il dibattito sul reddito garantito in Italia si è improvvisamente infiammato nelle ultime settimane. Nelle sedi istituzionali è stata incardinata , presso la Commissione Lavoro del Senato, la discussione delle proposte di legge presentate sul tema (una di queste è la trascrizione testuale della proposta di legge di iniziativa popolare che il Bin-Italia, assieme ad altre 170 associazioni, consegnò alla Camera nell’aprile 2013). Seppure il dibattito al momento stenta ad entrare nel vivo (siamo fermi alle audizioni di esperti e mondo associativo), si tratta pur sempre di una novità assoluta per la vita politica italiana, che mai aveva avuto la capacità di mettere a tema la possibile approvazione di una legge sul reddito garantito, nonostante la costante pressione dal basso in tal senso da almeno un ventennio da parte di movimenti sociali e opinione pubblica qualificata.

Ma di reddito si parla anche fuori dal parlamento, nella società tutta intera, sui giornali, sui blog, nei talk-show televisivi. Certo le opzioni che si confrontano sono piuttosto diverse tra loro, sin nelle denominazioni (reddito minimo garantito, reddito di cittadinanza, sostegno di inclusione attiva, reddito di inclusione); e inoltre è molto diverso il peso specifico della singole proposte: alcune idee hanno già trovato una formalizzazione in un possibile testo di legge, altre rimangono allo stato di abbozzo; alcune sono il frutto dell’impegno di “battitori liberi” o di gruppi di accademici, mentre altre proposte hanno già raccolto un consenso sociale più o meno ampio, o sono state sposate da associazioni o da partiti politici.

In generale la situazione appare magmatica e anche un po’ confusa, ma per lo meno in movimento. Il nodo della garanzia del reddito, in una qualsiasi forma, non pare più seriamente eludibile. Ma d’altra pare, si può restare immobili ancora a lungo di fronte al dispiegarsi di una crisi sociale che mette a repentaglio ormai il processo di riproduzione stesso del corpo sociale? I numeri sono molto noti e da molto tempo, perciò sarà sufficiente una ricapitolazione sommaria: 10 milioni di italiani in condizione di povertà relativa, quasi 20 milioni in condizione di rischio di esclusione sociale, tasso di disoccupazione al 13% con punte di quasi il 50% tra i giovani, 3 milioni di giovani inattivi e indisponibili a percorsi formativi o lavorativi. Queste non sono cifre di una crisi passeggera, risanabile con una modesta ripresa del PIL o con un’elargizione di bonus in denaro  a categorie svantaggiate,  o con piccoli progetti di sostegno o inclusione attiva al lavoro previa qualche miserevole beneficio economico; sono cifre che mettono in evidenza uno scenario di crisi che impone una riscrittura  del patto di convivenza.

Un leader dell’estrema destra sovranista (Matteo Salvini) ha affermato nelle settimane scorse che a suo giudizio gli italiani sarebbero vittime di un’operazione di pulizia etnica. E nella sua analisi si riferiva alla presenza eccessiva di immigrati. Questa lettura odiosa della realtà, sia pure in modo distorto, ci dice tuttavia qualcosa di autentico sui processi in corso: e cioè che si sta erodendo la capacità stessa di sopravvivenza del corpo sociale, un po’ come se la crisi avesse messo a nudo, marxianamente, una contraddizione tra rapporti di produzione troppo angusti per garantire la riproduzione di rapporti sociali infinitamente più ricchi.

Questo è il motivo profondo per cui il dibattito sul reddito garantito non può essere ridotto a questione meramente tecnica. Questo è il motivo per cui abbiamo sempre tentato di collocare l’auspicata introduzione di una misura di reddito garantito in una prospettiva di evoluzione dei rapporti sociali, in uno scenario di cambiamento e di alternativa. Deve insomma venire il tempo di un nuovo patto sociale, in cui lavoro, formazione e reddito, saranno in un nuovo rapporto tra loro. Il reddito è il tassello necessario di una diversa alchimia di rapporti sociali, finalmente adeguati all’epoca dell’accumulazione flessibile. Questo è d’altra parte l’abc del dibattito sociologico del nostro tempo (almeno di quello progressista, poiché i conservatori blaterano di “scontri tra civiltà”), da Bauman al compianto Ulrich Beck, da Habermas a Castells, Sennet, Gorz, Rifkin, Offe, ma anche Stiglitz e Krugman – tutti questi autori mettono in evidenza, con diverse accentuazioni, l’esaurimento della società salariale dei Trenta Gloriosi a preconizzano l’avvento di una società diversamente organizzata, nella quale una garanzia del reddito indipendente dal lavoro dovrebbe giocare un ruolo fondamentale e irrinunciabile per un welfare realmente universale.

Ecco quel qualcosa che manca al dibattito italico sul reddito da poco sbocciato: non si discute di società, non si additano scenari di convivenza, non si osa immaginare un mondo almeno un poco più desiderabile di quello attuale e più adeguato ai bisogni della popolazione. La discussione non prende il volo, manca l’aria per battere le ali. Tutto rimane ancora confinato in una gestione tecnica delle disposizioni, delle risorse, perfino delle persone che dovrebbero beneficiare della misura di reddito garantito; perfino la bella e giusta aspirazione a una società inclusiva, appare piegata in alcune proposte a storture inammissibili, come la condizionatezza a percorsi di lavoro volontario e gratuito cui avviare i possibili beneficiari di un reddito minimo.

Non sappiamo se veramente il nostro paese avrà presto una legge sul reddito, né tanto meno quali saranno i suoi contenuti specifici. Possiamo però riaffermare alcuni caratteri di fondo ai quali un intervento legislativo in tal senso non dovrebbe mai abdicare:

individualità dell’erogazione, perché la famiglia è ormai un’unità d’analisi inadeguata a garantire la libertà dei percorsi esistenziali dei singoli, e perché va garantita la libertà di scelta dei percorsi di vita dell’individuo stesso;

residenza come condizione di accesso e non la condizione amministrativa di “cittadinanza”, perché non è desiderabile una società fondata sulla discriminazione e perché meritano il sostegno e l’inclusione in una data comunità tutti coloro che in essa auspicano di vivere in modo stabile e duraturo, indipendentemente dal passaporto di provenienza;

congruità delle eventuali proposte di impiego da offrire ai destinatari del reddito garantito (congruità da intendere come coerenza rispetto alle esperienze lavorative passate e alle competenze, anche informali, maturate dal soggetto), perché non sarebbe desiderabile una subordinazione troppo netta del beneficiario alle indicazioni dell’autorità amministrativa chiamata e gestire la misura; vi sarebbe infatti il rischio, in tal modo, di dare vita a un mercato del lavoro segmentato, destinato a soggetti emarginati, o peggio costretti ad attività para-lavorative magari sotto l’attraente designazione di “volontariato”, “impegno sociale”, o “attività a beneficio delle comunità locali” mascherando di fatto una vessazione ai danni di coloro che potrebbero aspirare al riconoscimento di un diritto soggettivo al reddito;

sufficienza della misura e integrazione con servizi da predisporre con l’impegno integrato di Stato, Regioni ed Enti locali, perché il reddito garantito sia una riforma organica (non il bonus elargito da qualcuno), scaturente dall’impegno multilivello di tutte le istituzioni pubbliche così da ridisegnare un nuovo welfare, fatto anche di servizi di qualità.

Quel qualcosa che manca è la certezza che queste parole siano dette chiaramente e che le proposte in campo non eludano questi concetti primari sui quali eventualmente aggiornare le proposte ed i passaggi futuri. Perché le parole richiamate sono la base ineludibile e fondativa di una qualsiasi misura di reddito garantito ed evidentemente qualsiasi altra proposta in campo che non tenga conto di ciò, lo diciamo senza alcuna reticenza, sta inopportunamente utilizzando il tema e le ragioni sottese al reddito garantito. Pur consapevoli delle necessarie mediazioni politiche per introdurre un reddito garantito nel nostro Paese, non saremo mai a favore di una misura che, muovendo da una dichiarata lotta alla povertà e per una pretesa inclusione sociale, fungesse da scusante a ben altri scopi, non ultimo quello di predisporre un esercito di “sempre poveri” a poco prezzo e “sempre disponibili” perché costretti dal ricatto della perdita del beneficio del reddito.

Queste così accennate non sono prese di posizione preconcette, in parte sono traduzioni delle indicazioni europee in merito(1) , ma ancor più sono parole chiave per un’idea di reddito garantito possibile.

Note:

1) … il coinvolgimento attivo non deve sostituirsi all’inclusione sociale e chiunque deve poter disporre di un reddito minimo e di servizi sociali di qualità a prescindere dalla propria capacità di partecipare al mercato del lavoro … che la causa di un’apparente esclusione dal mondo del lavoro può risiedere nella mancanza di sufficienti opportunità occupazionali dignitose piuttosto che nella mancanza di sforzi individuali… che l’integrazione nel mercato del lavoro non deve rappresentare un requisito necessario per il diritto a un reddito minimo e l’accesso a servizi sociali di qualità J. Lambert  relazione per  risoluzione sul “Coinvolgimento attivo delle persone escluse dal mercato del lavoro” (8 aprile 2009)
… che il diritto ad personam a un reddito minimo che possa prevenire la povertà non dovrebbe dipendere da contributi legati all’attività lavorativa … incoraggiare gli Stati membri a definire una soglia minima di reddito, che contribuirebbe al miglioramento della qualità della vita  … un reddito minimo garantito che permetta di evitare la povertà e che offra a tutti la possibilità di partecipare alla vita sociale, culturale e politica come pure di vivere dignitosamente … che anche in periodi di crisi, i regimi di reddito minimo non andrebbero considerati un fattore di costo, bensì un elemento centrale della lotta alla crisi…  sottolinea il diritto fondamentale della persona a disporre di risorse e prestazioni sufficienti per vivere conformemente alla dignità umana I. Figuereido relazione per risoluzione “Ruolo del reddito minimo contro la povertà e la promozione sociale di una società inclusiva in Europa” (16 luglio 2010)

Consiglio Direttivo BIN Italia

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