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Precarietà, reddito garantito e antiproibizionismo

di Ylenia Daniello

L’abuso di droghe è strettamente collegato alla precarietà esistenziale. Pensate alla cocaina, alle droghe sintetiche, che scorrono a fiumi nelle fabbriche e nelle aziende, pensate al mercato del lavoro e ai suoi ritmi sempre più aberranti, all’alienazione dei nostri spazi e ai tempi di vita accellerati, tutto questo è la premessa all’abuso. Si chiama precarietà. Inserire quindi strumenti come il reddito per liberarsi dalla precarietà significa migliorare le condizioni di vita delle persone, renderle autonome, indipendenti e libere di decidere.

A me il compito di spiegarvi in pochi minuti la connessione tra la precarietà, il reddito e la battaglia antiproibizionista.

Faccio una breve premessa. Il 2 giugno di quest’anno la Global Commission approva una relazione decisamente in controtendenza  sulle questioni dei consumi e della “war on drugs”.

Dopo ottant’anni, un organismo dell’ONU sostiene che il Proibizionismo nel mondo ha fallito, i consumi non sono diminuiti, i profitti delle narcomafie sono sempre più floridi e le carceri delle nazioni che hanno quest’approccio repressivo, traboccano di detenuti per reati connessi all’uso delle sostanze. E consiglia a questi Stati di invertire3 la tendenza delle proprie politiche in favore di un’approccio “sociale”.

In Italia, dopo cinque anni dall’approvazione del DDL Fini/Giovanardi, assistiamo al proseguimento  di una costante azione repressiva. Ogni giorno le cronache locali sono farcite di episodi di ragazze e ragazzi accusati di spaccio, anche per dosi ridicole, su tutto il territorio naizonale.

Come in quasi tutti gli aspetti della vita sociale italiana, occorre una radicale inversione di tendenza e direzione. E’ urgente ripensare le politiche sule dipendenze, a partire dal lavoro che tantissime realtà pubbliche, private, di associazionismo e movimento, in Italia sperimentano da anni con successo.

Le attuali politiche, che criminalizzano dipendenze e consumi, devono, per noi, assolutamente fare un salto in avanti. Occorre passare da una visione “penale” ad una visione “sociale” delle problematiche, e porre un freno alla criminalizzazione dei comportamenti.

Perchè tutto ciò è collegato alla battaglia per liberarsi della precarietà e a quella del reddito?

Innanzitutto perchè se vogliamo ricostruire la sinistra non possiamo farlo se non attraverso la proposta di un modello di società complessivo. Nel passato la sinistra ha spesso fallito perchè ha sempre portato avanti battaglie scollegate le une dalle altre. L’alternativa per noi deve essere una società diversa, non singoli punti da negoziare.

Inoltre l’abuso, non l’uso, di droghe è strettamente collegato alla precarietà esistenziale.

Pensate alla cocaina, alle droghe sintetiche, che scorrono a fiumi nelle fabbriche e nelle aziende, pensate al mercato del lavoro e ai suoi ritmi sempre più aberranti, all’alienazione dei nostri spazi e ai tempi di vita accellerati, tutto questo è la premessa all’abuso.

Si chiama precarietà. Inserire quindi strumenti come il reddito per liberarsi dalla precarietà significa migliorare le condizioni di vita delle persone, renderle autonome, indipendenti e libere di decidere.

Ecco perchè aiuterebbe nel frenare l’abuso ed indirizzare verso un uso consapevole.

In più la regolamentazione dell’uso di droghe non solo abbatterebbe la quota di narcotraffico che imperversa nel nostro paese, ma sprigionerebbe risorse per allentare la crisi e finanziare il reddito minimo.

In questa direzione và la nostra proposta di regolamentazione della coltivazione domestica della cannabis, sia per uso terapeutico e sia per uso personale. Sarebbe un utile strumento per togliere, una volta tanto, una fetta di mercato alle mafie. Infatti, dobbiamo sapere che con lo spostamento in tabella 1 della pianta di Marijuana, imposto dal DDL Fini/Giovanardi, quindi con l’equiparaizone di fatto tra droghe pesanti e leggere nell’ambito penale (da 6 a 20 anni di reclusione) si è arrivati ad una crescita esponenziale del mercato delle droghe pesanti, riducendone di gran lunga la qualità, e favorendo ulteriormente i profitti dele mafie, che, a parità di pena, scelgono sicuramente di immettere nel mercato ciò che li fa guadagnare di più.

Nell’iniziativa che come Tilt abbiamo fatto a Firenze il 12 novembre scorso abbiamo visto chiaramente che la macchina del proibizionismo costa alle casse dello Stato milioni di euro all’anno tra forze di polizia, sistema carcerario, studi su “commissione”. Tribunali, servizi sociali e amministrativi.

Immaginiamo per un’attimo un’Italia dove vi sia la legalizzazione delle sole droghe leggere. Ciò comporterebbe l’abbattimento dei suddetti costi del pèroizionismo. Ma non solo. Nel caso di un monopolio di Stato (come accade per le sigarette) si arriverebbe ad introiti per le casse dello Stato sotto forma di tassazioni pari ad 1/3 dell’ultima manovra finanziaria di Tremonti 2011. In un biennio si guadagnerebbe circa 7 miliardi e 530 milioni.

Ipotizzando un secondo scenario come potrebbe essere quello Olandese, con rivenditori autorizzati  e turismo connesso, e aggiungendo esclusivamente un controllo sulla produzione, si avrebbero introiti per la copertura di metà della passata finanziaria (13 miliardi di euro nel biennio), e si assisterebbe all’attivazione di tutta la filiera produttiva, dalla produzione alla distribuzione al dettaglio.

In entrambi i casi, a differenza delle manovre economico/finanziarie che si mettono in atto solo in caso di necessità, questi sarebbero introiti fissi, costanti, biennali, che potrebbero allentare la morsa della crisi economica in cui vertiamo, creare posti di lavoro e finanziare, quindi, il reddito minimo garantito.

Ylenia Daniello – Tilt

Intervento per l’assemblea plenaria sul reddito garantito di Tilt 26 NOVEMBRE 2011

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