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reddito megafono

Le tute blu hanno un piano

di Francesco Piccioni

Il segretario della Fiom Maurizio Landini chiede ai partiti risposte precise a problemi reali. E invita le forze politiche a batteresi contro “un’ingiustizia sempre più profonde”. Tra i punti il reddito di cittadinanza.

Il segretario della Fiom Maurizio Landini chiede ai partiti risposte precise a problemi reali. E invita le forze politiche a batteresi contro “un’ingiustizia sempre più profonda”. La concretezza delle tute bli non sopporta giri di parole famose. E la politica italiana, anche a sinista, è abituata da troppo tempo al tatticismo, agli «schieramenti elettorali» che prescindono dal «che fare?» una volta in Parlamento; senza più attenzione agli interessi materiali e politici dei «rappresentati». Specie per quanto riguarda i lavoratori.

La Fiom ha rovesciato l’ottica. «Non aspetteremo che i politici, in piena campagna elettorale, vengano a prometterci il possibile e l’impossibile». Li «chiamiamo noi» per dire con chiarezza cosa vogliamo e «chiedere risposte». Perché «non consentiremo che i lavoratori vadano a votare senza sapere come si potrà recuperare la profonda ingiustizia che anche in queste ore si sta legiferando».

Nella grande sala del Parco dei Principi, il segretario generale Maurizio Landini espone un vero e proprio programma di governo per una sinistra «necessaria», più che possibile. Fatto di punti concretissimi, che ribaltano come un guanto le politiche del lavoro e industriali applicate finora. È stato sciocco chi ha provato a descrivere l’appuntamento come la trasformazione di questo sindacato in una nuova forza politica. «Noi siamo un sindacato autonomo e indipendente, ma non indifferente», che «può parlare alla pari con tutti: imprese, partiti, governi». Un sindacato che da oltre un secolo è parte integrante della sinistra, ma non ha più un partito di riferimento. «Vogliamo discutere di un programma alternativo a quello del governo Berlusconi, ma anche del governo Monti». Perché «la crisi è molto profonda e non se ne vede la fine; quindi «va avviata una fase costituente in cui tutti si rimettono in gioco».

Di conseguenza, mette giù una griglia di argomenti che devono selezionare gli interlocutori, testarne la serietà. Sarebbe stato logico che l’avesse fatto tutta la Cgil, ma ieri era presente e solidale solo uno dei segretari confederali, Nicola Nicolosi.
Legge sulla rappresentanza sindacale. L’unità sindacale sarebbe una buona cosa, ma quando non c’è – come oggi – i lavoratori debbono avere il diritto di scegliersi il sindacato e soprattutto di votare accordi e contratti che poi loro saranno chiamati a rispettare. Il rischio, altrimenti, è che le aziende si scelgano o si facciano il loro sindacato finto.
Cancellazione dell’art. 8. La «manovra d’agosto» di Berlusconi-Sacconi ha inserito una bomba a tempo nelle relazioni industriali, con questo articolo che consente agli accordi aziendali – firmati magari da sindacati di comodo – di andare «in deroga ai contratti e alle leggi». Anti-costituzionale, ma conservata da Monti.
No a questa riforma del mercato del lavoro. L’art. 18 è stato svuotato completamente, togliendo la possibilità reale del reintegro (al contrario di quanto sostengono sia il Pd che Susanna Camusso, ndr). Va ripristinato nella sua forma originaria ed esteso, perché da questo dipende il diritto del singolo lavoratore di poter aprire bocca e di fare il delegato senza timori. Va ridotto drasticamente il lavoro precario; introdurre il principio che a parità di lavoro e mansione ci deve essere parità di salrio e diritti.
Ammortizzatori sociali. Vanno estesi, non ridotti (come sta facendo il Parlamento); le risorse vanno trovate facendo pagare il contributo anche a quelle categorie economiche che oggi non hanno la cig, ecc. Reddito di cittadinanza. Un principio europeo che il nostro paese non ha mai reso attivo, che può garantire il diritto allo studio e ridurre il ricatto sul salario.
Pensioni. I lavori non sono tutti uguali; stare in fonderia o in corsia non è come fare il prof. universitario. Va riconosciuto il peso che hanno sulle aspettative di vita, altrimenti è una tassa sulla vita. Il «metodo contributivo» non può esser l’unico; già con Prodi si era fissato il criterio (non rispettato) di portare l’assegno pensionistico minimo almeno al 60% del salario di categoria. I soldi dei fondi pensione andrebbero investiti solo per rilanciare l’economia interna.
Fisco. Patrimoniale, progressività delle imposte, tassazione delle rendite finanziarie, combattere la criminalità nell’economia.
Occupazione. Ridurre l’orario di lavoro (come in Germania) per non perdere competenze.
Nuovo modello di sviluppo. Cosa, come, per chi produrre, e in modo ambientalmente sostenibile. Politica industriale. Non se ne parla più. Ma Finmeccanica (pubblica) vuol tenere solo la produzione militare e dar via tutto il civile avanzato (treni, nucleare, ecc). Riforma della scuola. Garantire parità di condizioni di partenza per aumentare la «mobilità sociale».
Europa. Dopo 20 anni, il sistema rischia di esplodere. Servono regole per la finanza, intervento pubblico: No al pareggio di bilancio in Costituzione.

E intanto ci si mobilita ancora. Il 13 e il 15 a livello territoriale (scioperi e presidi); il 14 sotto il Parlamento, a Roma, contro la riforma del mercato del lavoro e lo spacchettamento di Finmeccanica. Un programma da imporre con la lotta, insomma, non una lista di richieste a una politica distratta.

Tratto da Il Manifesto

 

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