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Indi per tutti una vita serena in una società attiva, giusta e solidale

di Laura Spampinato

Prendendo alcuni spunti dal Libro Verde presentato dal Ministro Sacconi, si propone un sistema nuovo di garanzie per tutti i disoccupati, impegnandoli in attività utili al territorio e al tessuto sociale. Inoltre si prefigura l’orientamento a rendere stabile il lavoro dai 25 anni ai 55 anni, lasciando libertà di flessibilità contrattuale in entrata (under 25) e in uscita (over 55).

Note introduttive.

Il 25 luglio 2008 il Ministro Sacconi presentò il “Libro Verde sul futuro del modello sociale.  La vita buona nella società attiva” con l’obiettivo di avviare un dibattito pubblico sul futuro del sistema di Welfare in Italia, in analogia con i medesimi strumenti adottati dalla Commissione europea. La consultazione pubblica si è conclusa il 25 ottobre 2008 e il presente contributo, seguendo la traccia fornita, ha inviato proposte di modifiche al testo, già a partire dal titolo, ma anche prospettato soluzioni innovative inserendole all’interno dei vari paragrafi.

 

Prefazione

Questo Libro Verde è dedicato agli esseri umani che vivono stabilmente nel territorio italiano e vuole ricostruire fiducia nel futuro.

Le tendenze demografiche, i grandi cambiamenti nella coscienza dei bisogni e nella struttura delle risposte, la globalizzazione sregolata e una crescita dell’economia che rimane al di sotto del potenziale, stanno progressivamente sgretolando la rete delle vecchie sicurezze.

Una visione integrata dei vari profili che concorrono al benessere dei cittadini parte dalla nascita, attraversa la scuola, la vita lavorativa, il pensionamento attivo, e arriva, infine, alla sua naturale conclusione.

Promuovere la salute consente di ridurre la povertà, l’emarginazione e il disagio sociale, incrementando la produttività del lavoro, i tassi di occupazione e la crescita complessiva dell’economia. Allo stesso modo, un aumento della qualità dell’occupazione e delle occasioni di lavoro per un arco di vita più lungo si traduce in maggiore salute, prosperità e benessere per tutti. La sfida a cui siamo chiamati non è solamente economica ma, prima di tutto, progettuale e culturale. Vogliamo riproporre la centralità della persona, in sé e nelle sue proiezioni relazionali a partire dalla famiglia. Pensiamo a un Welfare delle opportunità che si rivolge alla persona nella sua integralità, capace di rafforzarne la continua autosufficienza perché interviene in anticipo con un’offerta personalizzata e differenziata, stimolando comportamenti e stili di vita responsabili, condotte utili a sé e agli altri.

Una vita attiva e serena, nella quale il lavoro retribuito dignitosamente sia costantemente contrattualmente assicurato dai 25 ai 55 anni – anni cruciali per l’assestamento di una vita familiare che abbia come risultato per i propri figli una crescita serena -, e nella quale, grazie alla costruzione di un ponte di solidarietà sociale, ai giovani fino al compimento dei 25 anni venga data l’opportunità di sperimentare flessibilmente il mondo del lavoro e scegliere la professione più adeguata alle loro inclinazioni, e agli over 55 flessibilmente di prenderli per mano, preparandosi gradualmente all’uscita verso attività non retribuite – godendo di dignitosa pensione – dando spazio a loro, è l’obiettivo ragionevole e realizzabile, con buona volontà delle massime istituzioni, che qui si propone.

L’esperienza del lavoro va considerata parte integrante dei processi formativi, fin dalle elementari, invitando testimoni dei vari mestieri e professioni ad illustrare le specificità, criticità, rischi e soddisfazioni che porta ogni tipo di lavoro, educando altresì al rispetto per ciascuno, e cioè:

•1.     a non considerare il titolo di laurea di per sé arrogantemente pretenzioso di emolumenti maggiori rispetto al più modesto titolo di un valente artigiano, agricoltore o muratore (la fatica di studiare non è superiore alla fatica di vangare, e si rischia di morire molto di più in un cantiere)

•2.     a non accettare in sede  contrattuale differenziazioni retributive, a vantaggio di categorie dirigenziali, smoderate rispetto a quelle di tutti gli altri lavoratori impegnati al bene comune dell’impresa o ente o associazione

•3.     a cooperare accettando le debolezze di ciascuno ed assegnando incarichi ai più deboli adeguati  e altrettanto rispettabili.

Idonei strumenti normativi dovranno consentire l’alternanza di esperienze di studio e di lavoro durante tutto l’arco degli studi, in modo da correggere il tiro del piano di studi in itinere, articolandolo nel modo più favorevole ad una conclusione di soddisfazione.

Nessuno stage/tirocinio potrà quindi terminare senza che sia data scheda orientativa su strada migliore, e questo presuppone che i tutor assegnati siano motivati ad affiancare e capaci di valutare e orientare, pertanto over 55 esperti nelle varie professioni e mestieri, secondo il modello indicato prima del ponte solidale entrata-uscita dal trentennio lavorativo contrattualmente sicuro.

 

•1.    Perché un Libro Verde?

 

Le disfunzioni

La spesa socio-assistenziale è per lo più amministrata dagli enti locali. Secondo l’ISTAT è segnata da un grande divario territoriale: si va dai 146 euro per abitante del Nord-Est ai 40 euro del Sud. Nell’ambito di uno stesso territorio le politiche variano da comune a comune. Raramente esse sono integrate con le politiche sanitarie e socio-sanitarie. Ne derivano azioni disordinate dei soggetti istituzionali e insufficienti sinergie con gli attori sociali, a partire dal volontariato. La percentuale degli ultrasessantacinquenni in Italia, nel 2007, è del 19,9 %; nel 2030 gli ultrasessantacinquenni, con 14,4 milioni di persone, costituiranno il 26,5 % e nel 2045 tale percentuale aumenterà in modo cospicuo superando il 30 % della intera popolazione. Aumenteranno soprattutto i grandi anziani, ovvero le persone di età superiore agli 80 anni; nel 1951 erano appena l’1 % della popolazione, oggi rappresentano il 5,3 % della popolazione italiana e le proiezioni al 2045 indicano che questa percentuale salirà a circa il 12 %.

Accanto all’invecchiamento si accompagna una maggiore incidenza della disabilità. In Italia i disabili superano i 2,5 milioni e, di questi, circa 900mila sono di fatto confinati in casa vivendo in strutture che, per le barriere architettoniche esistenti, non consentono il loro spostamento. La disabilità è una condizione molto diffusa dell’anziano tanto da coinvolgere il 12 % degli ultrasessantacinquenni. Se consideriamo la classe di età degli ultraottantenni, uno su tre è affetto da disabilità. In Italia, a 75 anni, l’uomo ha una aspettativa di vita di 10 anni e le donne di 12,5 anni. Il punto importante, però, è che la vita attiva di questi 10 anni per gli uomini è di solo 1,8 anni e per le donne è di 2,1 anni. La restante aspettativa di vita è in condizioni di disabilità. Ben 8,5 e 10,2 anni, nei due sessi. Da qui il costo crescente richiesto al Servizio Sanitario, ai servizi sociali, al sistema previdenziale; ma oggi abbiamo un corpus normativo disorganico e quasi ingovernabile,   caratterizzato com’è da successive sovrapposizioni che lo rendono neppure lontanamente riconducibile al concetto di «sistema».

Nel nostro modello prevediamo che, mentre i lavoratori 25-55enni dedicano il loro tempo serenamente a lavoro regolarmente ed equamente retribuito, le due fasce del ponte che si incrociano sopra (under 25 e over 55) o lavorano flessibilmente o vanno a coprire tutte le necessità di cui ai precedenti paragrafi che evidenziano le disfunzioni e la necessità di fare “sistema”.

Dobbiamo però garantire anche a loro, quando disoccupati, un sostegno economico tale da permettere vita attiva e lontana da brutte tentazioni e malattie.

Il sistema che si propone affianca utilmente l’indennità di disoccupazione, tramite istituzione di Sportelli presso INPS dedicati all’Opera Salvaguardia Territoriale, in rete con tutte le associazioni che nel territorio si occupano di assistenza a bambini, anziani, disabili, e non autosufficienti temporanei (compresi lavoratori della Pubblica Amministrazione e privati che siano temporaneamente ammalati in casa o ricoverati).

Es. Lavoratore ammalato single ricoverato in ospedale non ha nessun aiuto per portare e ritirare abiti in tintoria, chiede aiuto allo Sportello e gli viene mandato disoccupato per provvedere. Altro esempio, una signora che abita in zona non sicura chiede di essere accompagnata a spettacolo serale. In questo caso, trattandosi di divertimento, contribuisce con un buono di 5 euro, nell’altro con buono da 2,50 euro, che insieme fanno cassa come Buoni lavoro accessorio

Nell’attuale struttura degli ammortizzatori sociali vi sono innumerevoli iniquità di trattamento (criteri di eleggibilità, durata, ammontare dei benefici). Mentre non ancora applicata, per quanto già operativa sul piano normativo all’interno della «legge Biagi», è una elementare regola di responsabilità che vuole sanzionato con la decadenza dal beneficio o dalla indennità il percettore del trattamento che rifiuti un’occasione congrua di lavoro o un percorso formativo di riqualificazione professionale.

In conseguenza della proposta su indicata, viene a cadere il pregiudizio assai diffuso che il disoccupato sia unicamente un approfittatore. Oltre a dover dedicare il suo tempo all’aiuto e alla sicurezza del territorio, dovrà anche studiare, scegliendo da catalogo il corso preferito, con l’obiettivo di rientrare al più presto al lavoro. E’ infatti da questi corsi che dovranno attingere le aziende ed enti per assumere, in primis.

La rigidità dei trattamenti costituisce, soprattutto con riferimento ai gruppi più tutelati, un ostacolo oggettivo ai processi di mobilità e al dinamismo del mercato del lavoro.

Le varie forme di sostegno al reddito non solo non seguono un disegno di incentivazione per il rapido reinserimento lavorativo, ma concorrono esse stesse ad alimentare una fiorente economia sommersa che non ha pari nel resto del mondo industrializzato.

Esempio: interrotto bruscamente il servizio il 30 giugno 2008, causa applicazione  dell’art.49 comma 3 Dlgs 112, avendo lavorato 3 anni presso ente locale, come somministrata avevo diritto a indennità di disoccupazione, e ho dovuto rifiutare una prestazione occasionale che mi offriva altro datore di lavoro per non perdere il beneficio. Rientrando in servizio come co.co.pro., esternalizzata, ho perso diritto all’indennità per il futuro, al termine del contratto di sei mesi. Era meglio restare a casa disoccupata per 1 anno a 900 euro al mese, piuttosto che rischiare. Grazie all’attuale sistema, viene pagata cara la voglia di lavorare!

 

Chi orienta e come

Criticità  nei Servizi per il lavoro

La sperimentazione di progetti per l’orientamento e l’accompagnamento al lavoro è gravemente compromessa nei risultati dal fatto che per queste attività vengono utilizzate figure precarie, che non riescono a trovare né motivazione né possibilità concrete di relazione duratura con il tessuto produttivo del territorio per agevolmente inserire le persone, secondo capacità e potenzialità da testare e quindi verificare negli esiti occupazionali.

Appare quindi una presa in giro per il disoccupato andare a depositare il proprio curriculum vitae in mille luoghi, dichiarando i propri bisogni all’infinito a persone che domani sono lasciate a casa perché altre progettazioni e gare decidono per loro, senza tenere in alcun conto e  rispetto sia il lavoro degli operatori, se fatto bene o fatto male, nè tali dichiarazioni fatte con il cuore in mano e chiuse in armadi senza possibilità di utilizzazione.

Questo non è sistema.

 

La visione: la vita serena nella società attiva, giusta e solidale

Solo all’interno di un orizzonte integrale, che abbracci la persona nella sua totalità, in sé e nelle sue proiezioni relazionali, è possibile replicare, con argomenti solidi, a chi contesta la fissazione di precisi vincoli di compatibilità macro-economiche come prerequisito rispetto alla progettualità sociale, ma anche a chi oggi ritiene che le politiche sociali siano un freno alla competitività. Le politiche sociali possono risultare funzionali non solo a ridisegnare costantemente i diritti e le tutele delle singole persone, ma anche a costruire una società che sia al tempo stesso dinamica e assai più competitiva. Ciò a condizione che venga posta al centro del sistema la persona con i suoi diritti e le sue potenzialità, ma anche con le sue responsabilità. Una società ha futuro soltanto se investe su sé stessa. Se sa cioè immaginare scenari, e definire correlate strategie, che si collocano oltre la soluzione dei problemi più contingenti. Una società orientata al futuro è solida e responsabile nella misura in cui dà prospettive, punti di riferimento e certezze in primo luogo alle generazioni più giovani, a quelli che saranno gli adulti di domani.

Per questo motivo vanno favorite le politiche di ingresso immediato nei giovani nel mondo del lavoro, come prima pietra della costruzione delle proprie scelte di vita. Percorsi scolastici privi di ritardi, molteplici esperienze lavorative durante la fase degli studi, immediato ingresso nel mondo del lavoro, costituiscono le tre variabili che possono incidere positivamente sull’anticipo delle scelte responsabili di vita, a partire dalla procreazione. Politiche educative e formative, lavorative, abitative, sociali e sanitarie, devono concorrere tutte all’obiettivo di facilitare le grandi scelte personali dei giovani, e non solo, aiutandoli a progettare un futuro solido e accompagnandoli con adeguate politiche di prevenzione (delle patologie) e di sostegno (nei casi di insuccesso). Alle politiche di incentivazione dell’autonomia personale nelle scelte giovanili, e non solo giovanili, devono corrispondere reti di prevenzione e di condivisione sociale dei rischi connessi.

La spesa sociale non va tagliata: essa va governata e riorientata in modo da rendere il sistema non solo finanziariamente sostenibile, ma anche più equo ed efficiente perché realmente in grado di incoraggiare la natalità, abbattere le barriere, facilitare la mobilità, anche in situazioni di mobbing, combattere le discriminazioni, prevenire i bisogni, contrastare la povertà.

Una moderna politica sociale può liberare una maggiore capacità di generare ricchezza se sollecita nuovi stili di vita, previene le malattie e promuove ambienti sicuri, investe nella ricerca biomedica e favorisce la connessa innovazione industriale, garantisce il continuo aggiornamento delle conoscenze e delle competenze e – con esse – la occupabilità delle persone, regola in termini semplificati e sostanziali i rapporti di lavoro, stimola una stretta relazione tra salari e produttività, incoraggia il coinvolgimento dei lavoratori nella vita della impresa, sottrae risorse all’area della inefficienza riassegnandole alle tutele attive, stabilisce regole a garanzia del pagamento puntuale e sollecito ai fornitori di beni e servizi a Enti e a privati, altrimenti soggetti a fallimento e scoraggiati ad investire in attività autonome e libere professioni.

Gli obiettivi quantificabili

La costruzione del nuovo Welfare deve avvalersi di un costante monitoraggio e di un approccio per obiettivi, in modo da consentire ai decisori e ai loro interlocutori sociali di misurare continuamente l’avvicinamento ai risultati attesi, l’effettiva utilità delle politiche adottate, l’opportunità di correzioni nel caso di scostamenti, il confronto con i sistemi dei Paesi concorrenti.

Certamente dovrebbero considerarsi i tassi di natalità e l’aspettativa di vita, il grado di soddisfazione della domanda di servizi di cura lungo tutto l’arco della vita, l’incidenza delle spese per la casa, i tassi di occupazione e di attività dei giovani, delle donne e degli anziani, l’effettivo livello di conoscenze dei giovani – con particolare riguardo alla storia, geografia, matematica, le scienze e le tecnologie – e i tassi di partecipazione dei lavoratori alle attività formative, gli indici di frequenza degli infortuni nel lavoro, sulla strada e negli ambienti domestici, il livello di diffusione degli screening oncologici, il livello di reimpiego delle persone invalidate da incidenti o malattie, il livello di recupero dalla povertà assoluta ecc.

Il ricorso agli indicatori europei previsti in materia di politiche per la salute, l’innovazione, la crescita e l’occupazione consente, se applicato rigorosamente, un costante benchmarking e il superamento di logiche autoreferenziali, proponendo altresì nuovi indicatori.

 

2. Il nuovo Welfare integrato delle pubbliche amministrazioni, delle comunità e della responsabilità personale

La povertà assoluta

La lotta alle povertà estreme, ai bisogni degli ultimi, è uno dei principali obiettivi per la costruzione di una società fondata sulle opportunità e sulla solidarietà. Il sistema di Welfare non può ignorare le esigenze dei cittadini più in difficoltà, di quelli che si trovano nella indigenza, al di sotto delle condizioni economiche minime. Il contrasto alla povertà avviene certamente con la promozione di una società attiva, sostenendo la creazione di posti di lavoro, costruendo strumenti di orientamento e di accesso al lavoro personalizzati, valorizzando un sistema retributivo che incoraggi la produzione di ricchezza. In questo contesto, tuttavia, occorre riconoscere che esistono soggetti a forte rischio di esclusione sociale a cui è preclusa l’entrata nel mondo del lavoro. Tra questi gli anziani oltre i 65 anni con la sola pensione minima, le famiglie con un solo genitore (spesso donna) e con figli minori a carico, quelle con figli portatori di disabilità o di disagio psichico, persone sole affette da sindromi depressive e dipendenze, ex detenuti. E’ questa dimensione della povertà, quella assoluta, che deve essere riscoperta e affrontata, al fine di assicurare una vita serena anche a coloro che si trovano nelle condizioni più difficili.

Si rende necessario valorizzare il ruolo e la dignità professionale del medico di medicina generale, affinché possa realmente divenire punto di riferimento e risposta alla domanda di assistenza primaria, che deve prevedere la presa in carico della persona, fondata su una valorizzazione del rapporto di fiducia medico-paziente, operando in rete con assistenti sociali, psicologi e psichiatri, a loro volta connessi in rete con operatori dei Servizi per il lavoro. Ciò anche tenendo conto che il ripristino della dignità professionale e del ruolo del medico generale ha come momento chiave la sua specifica formazione, i cui contenuti e le cui metodologie andranno individuati a livello nazionale, in modo da garantire uniformità di approccio assistenziale sull’intero territorio nazionale, compresa la capacità di connettersi all’INPS per comunicare la malattia se il paziente vive da solo e non può spedire la cartolina.

N.B. Non “diplomiamo” le persone con gravi disagi psichici come assistenti familiari (badanti), considerando ultima spiaggia per loro questo mestiere, escludendo invece dagli albi, per non aver pagato un biglietto del tram (caso accaduto a Milano), altre che sono idonee e affidabili. Alle prime possiamo far  svolgere attività insieme ad altre persone, e per le seconde verifichiamo attentamente e perdoniamo l’errore.

 

3. La sostenibilità

Il nostro Welfare, da una parte, è finanziato da troppo poche persone attive e, dall’altra, non contribuisce ad aumentarne il numero. Esso dà oggi troppo a troppo pochi, viziato come è da privilegi difesi corporativamente e da diseconomie dovute a inefficienze gestionali e a imponenti stratificazioni normative che, parallelamente all’evoluzione dei rapporti economici e sociali, ne hanno largamente eroso l’impianto originario e la funzionalità.In questa prospettiva il primo intervento possibile, per realizzare un modello sociale sostenibile e garantire risorse adeguate, è allargare drasticamente la base dei contribuenti, cioè di coloro che, attraverso la partecipazione al mercato del lavoro regolare, concorrono a sostenere il modello sociale stesso. I target di Lisbona (tasso di occupazione del 70 per cento, con 60 per cento di occupazione femminile e 50 per cento di occupazione degli over 50) non sono un miraggio, ma un obiettivo realistico, considerata anche l’imponente quota di economia sommersa, nella misura in cui sapremo liberare il lavoro dai troppi disincentivi normativi che ancora comprimono la vitalità e il dinamismo del mercato del lavoro senza offrire vere tutele alle persone.

Deve essere sanzionato con la perdita del beneficio chi viene trovato a lavorare in nero mentre percepisce indennità di disoccupazione (che dovrà restituire), e altrettanto il suo datore di lavoro in nero, che sarà condannato a mantenerlo a vita con un contratto regolare (trattenendogli in busta quanto indebitamente dall’INPS ha percepito). Ma è piuttosto difficile che questo avvenga, se per 3 ore al giorno il disoccupato deve essere reperibile e disponibile per le attività, a cui si accennava prima, di salvaguardia del territorio, e altre 2 ore per la formazione. Resta il tempo giusto per ripassare i compiti e riposare.

Inoltre, ponendo un tetto alle retribuzioni dirigenziali sproporzionate rispetto a qualsiasi valutazione di resa umana nel lavoro, avremo risorse sufficienti da destinare a chi attualmente si trova in condizioni di povertà estrema.

 

Quanto assegnare ai disoccupati under 25 e over 55?

Abbiamo avanti a noi altri Libri verdi da consultare, francesi, inglesi, ed esperienze decennali anche nord americane. Il giusto equilibrio si può trovare in un sistema in cui:

  • per 30 anni le persone sono stabilmente produttive (25-55)
  • quelle in entrata e uscita flessibilmente produttive (under 25-over 55)
  • i pensionati sono occupati con i nipoti, orientati a studi piacevoli, a banche del tempo e simili
  • i disoccupati sono iscritti a sportello salvaguardia del territorio e studiano

  quindi tutti, comunque, sono molto attivi.

Quello che entra in termini di reddito viene speso per provvedere ai propri bisogni, dando al contempo impulso all’economia: commercio, industria, divertimento, tutti se ne avvantaggiano, in un circolo virtuoso che va a scapito solo del malaffare.

 

4. La governance

La gestione coordinata dei livelli essenziali delle prestazioni e dei servizi, il relativo monitoraggio della qualità delle erogazioni e della spesa, i percorsi straordinari di razionalizzazione della spesa, potrebbero essere affidati a forme di pilotaggio “centralizzato”, utili anche a trasmettere le buone pratiche in un Paese così diviso tra le migliori e le peggiori gestioni.

Nel mercato del lavoro, con riferimento ai servizi (pubblici e privati) per l’impiego e al sistema di monitoraggio e valutazione delle politiche di Welfare to Work, una simile cabina, per quanto già tratteggiata sul piano normativo attraverso la riforma Biagi, non è mai decollata.

Vi potrebbero contribuire professionalità selezionate in termini competitivi nell’ambito degli enti esperti del Ministero (Isfol e Italia Lavoro).

Attenzione: se Italia Lavoro o Isfol, o il Ministero, o chi per loro, terminando un progetto, abbandona le persone formate, oppure queste  vanno a confluire in Enti dove vengono tenute per qualche mese e poi di nuovo abbandonate, in un girone infernale di contratti a frenetica conclusione e senza possibilità di stabilizzazione, non possiamo parlare di sistema. Gli esperti si devono spogliare o incatenare, per farsi notare? Biagi, dall’alto, inorridito sta a guardare.

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